Un progetto per i cattolici in politica

Nel corso del Meeting di Rimini è stato presentato il cosiddetto “piano B”, una proposta di ripresa della presenza sociale e politica dei cattolici formulata da un gruppo d’intellettuali, per lo più universitari.

Il susseguirsi di iniziative di questo tipo (altre simili hanno visto la luce in questi anni) testimonia da un lato la nostalgia verso una forma di presenza unitaria dei cattolici che per molti anni ha garantito all’Italia, attraverso lo strumento della Democrazia Cristiana, stabilità e sviluppo ma dall’altro manifesta nei proponenti una radicata sfiducia nei confronti dell’attuale situazione (che chiamano il piano A).

C’è un fatto che accomuna le diverse iniziative ed è la sua origine: si tratta, infatti, di pacchetti di idee, proposte e intenzioni che nascono dall’alto, da intelligenze vive ma normalmente collegate con i piani alti del mondo cattolico.

Grande assente è il popolo che vive la quotidianità dei problemi e che non si riesce mai a interpellare adeguatamente. Così succede che, tra la sorpresa di molti, il libro di un generale balzi in vetta alle classifiche di vendita, così come, solo qualche anno fa, gli insulti e i vituperi di un guitto hanno potuto affidare la guida del paese a una banda di improvvisatori. Questa è la sorpresa che coglie quanti sono inclini a guardare le proprie idee, anche quando intelligenti, piuttosto che la realtà.

Personalmente ritengo che una presenza organizzata di cattolici nella politica italiana sia oggettivamente difficile soprattutto perché non si è mai fatto lo sforzo di una riflessione approfondita per capire le motivazioni reali della cosiddetta diaspora.

Tutti la facciamo risalire, come cosa ovvia, al tempo della cosiddetta tangentopoli quando, con il consenso di poteri forti, nazionali e internazionali, fu spazzata via un’intera classe politica – il cosiddetto pentapartito formato dalla DC dal PSI e partiti laici, salvando tuttavia la parte sinistra della DC e l’intero partito comunista, partito che, oltre a partecipare al gioco dei finanziamenti illeciti nazionali, aveva un legame economico e finanziario stabile con l’URSS paese formalmente nemico della Nato e quindi dell’Italia.

Il partito della Democrazia Cristiana era un contenitore che teneva unite posizioni culturali diverse, tutte in qualche modo originate dalla Dottrina Sociale della chiesa anche se declinate con sensibilità differenti. Caratteristica fondamentale era il tentativo di tradurre i principi in politiche concrete.

E’ interessante notare che il cosiddetto codice di Camaldoli – cui fanno riferimento i proponenti il piano B – viene pubblicato con il titolo “Per la comunità cristiana”: la riunione camaldolese fu un’iniziativa dei Laureati di Azione Cattolica e del suo assistente ecclesiastico , il vescovo di Bergamo mons. Bernareggi.

Questo per sottolineare che quel lavoro, frutto anch’esso di un confronto tra intellettuali di varia sensibilità e competenze, oltre che di contributi aggiunti in seguito, si collocava all’interno di un movimento ecclesiale che si poneva davanti alla responsabilità di ricostruire l’Italia dopo il fascismo.

Mentre si ricorda questo documento sarebbe bene non trascurare un altro documento coevo, le Idee Ricostruttive della Democrazia Cristiana messo a punto da Alcide De Gasperi con la collaborazione di altri politici del soppresso Partito Popolare, e che sarà la base dei governi del dopoguerra.

Questo veloce excursus storico solo per documentare la ricchezza di proposte di cui i cattolici che si apprestavano ad affrontare i tempi del dopoguerra potevano disporre e che venivano dal patrimonio della chiesa cattolica.

Abbiamo accennato all’esito di tangentopoli e alla sopravvivenza della sola componente di sinistra che nella storia DC aveva introdotto la piena autonomia della politica rispetto alla comunità cristiana e alla stessa dottrina sociale, affidandosi principalmente alle tecniche di gestione del potere e del sottopotere e a riferimenti culturali diversi dalla tradizione cattolica.

Una deviazione che già l’arcivescovo Montini aveva colto e denunciato: “ciò è dovuto alla distanza, ch’è virtualmente una rottura, ormai evidente a Milano tra la Democrazia Cristiana, tutta in mano al suo apparato direttivo, alla cosiddetta “Base”, e il campo cattolico.

Dialogo ormai non è possibile con questa fazione, non ad altro impegnata che a promuovere gli interessi socialisti a spese della vera Dem. Cr. e della tradizione cattolica in essa rappresentata”(Ricordando G.B. Montini, Studium Brescia, 1989, pag.31). Siamo alla fine degli anni cinquanta, il socialismo italiano è stretto alleato del PCI, forse questo giudizio è troppo severo tuttavia evidenzia un problema che la DC si è portata dietro per tutta la sua storia e che è stata causa non ultima della sua fine. Da quella componente infatti non è stata assunta nessuna difesa della storia politica dei cattolici lasciandola liquidare come una storia di infamia e alleandosi poi con una sinistra ex comunista a sua volta incapace di una seria autocritica della propria storia.

Sono ferite che non riguardano solo il passato: la migrazione del voto cattolico verso Berlusconi al suo tempo, oggi verso Meloni, è la conseguenza di una divisione che è penetrata nella vita dei cattolici italiani prima che nella loro politica .

Occorre ripartire dalla comunità cristiana, come si chiedeva a Camaldoli, da comunità cristiane che siano davvero tali, cioè capaci di mettere Dio al centro della vita, anche della vita politica, rifiutando quel moralismo che impedisce di vedere la realtà e si occupa più del gossip o dei difetti degli uomini politici che della ricerca paziente e generosa del bene comune.

E’ il realismo cristiano anche applicato alla politica. In questo anno manzoniano sarebbe bene rileggere il suo “Il Cinque Maggio” per imparare uno sguardo diverso, qui applicato per Napoleone: “nui/chiniam la fronte al Massimo/Fattor, che volle in lui/del creator suo spirito/più vasta orma stampar”. Uno sguardo che riconosce una Presenza ineludibile e con cui ogni tentativo di impegno cattolico nella società dovrebbe fare i conti, fino alla politica.

Ogni piano, A B o C, per avere successo deve partire dall’esperienza di comunità cristiane che vivono nella realtà quotidiana e la vivono con un significato. Per dirla con Romano Guardini “[la critica cristiana]riconosce l’errore del concetto di autonomia e sa che una cultura che vuole costruirsi eliminando Dio, non può riuscire, per il semplice fatto che Dio esiste”(La fine dell’epoca moderna).

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