I cattolici di ieri e di oggi nella politica

La generazione del dopoguerra, quella che ha pilotato l’Italia verso la democrazia e la ripresa economica, era ancora permeata da una certa cultura cristiana diffusa nel nostro paese al di là della reale pratica.

Una cultura e una mentalità che sono state in grado di guidare per più di un ventennio la politica mentre la stessa chiesa italiana si appoggiava molto al sostegno pubblico che le veniva da governi chiaramente sostenuti dal partito della democrazia cristiana.

Gli eventi del 1968 segnano una rottura di questo schema; quella generazione rifiuta il lascito dei padri alla ricerca di nuove strade di senso, di progresso, di sviluppo. Anche la chiesa ne è coinvolta: pochi credo ricordino chiese occupate, comunità di base contro i loro vescovi (come quella famosa dell’Isolotto a Firenze), contestazioni pubbliche al magistero della chiesa.

Un fenomeno che mandò in crisi anche la GS di don Giussani in quel momento non più a lui affidata. La chiesa di ritrovò smarrita, senza un giudizio adeguato per comprendere eventi che presto precipitarono anche nel terrorismo fino all’uccisione di Aldo Moro e al dramma di Paolo VI suo amico personale. Il Signore che non abbandona la chiesa mandò allora due pastori nuovi.

Prima Giovanni Paolo I che, riprendendo nel nome i suoi predecessori volle confermare la continuità della verità cristiana anche in tempi difficili. Dio lo chiama e lo riprende rapidamente. E viene Giovanni Paolo II, chiamato da un paese lontano dove essere cristiani di fronte al potere ha un costo ben diverso che nell’Occidente europeo.

Il suo programma è chiaro fin dall’inizio: “Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo, alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura. Cristo sa cosa è dentro l’uomo solo lui lo sa “.

Per la durata del suo pontificato Giovanni Paolo II ha portato questa fede in Gesù in tutti gli angoli del mondo con un giudizio che non passa. L’annuncio del Papa polacco chiede di investire tutta la realtà (compresa la cultura, la politica…) con un giudizio che nasce dall’amore a Cristo, dell’amicizia con Lui

La chiesa italiana ha cercata in quegli anni di seguire la potenza dell’annuncio di Giovanni Paolo soprattutto con il “progetto culturale” voluto dal card. Ruini e con il rafforzamento voluto dal papa di istituzioni storiche come la Pontificia Università Lateranense o nuove come l’Istituto per la famiglia coinvolgendo personalità di valore in Italia e nel mondo.

Il Papa incoraggia e sostiene i nuovi movimenti ecclesiali che lo seguono: riconosce una particolare affinità con il movimento di don Giussani di cui dice che il nome è il programma della chiesa, la Comunione è la liberazione vera dell’uomo.

Vita e famiglia appaiono come i capisaldi della difesa dell’umano fatta dal papa per tutto il suo pontificato. Troppo poco di quell’insegnamento sembra essere passato nella vita quotidiana dei cristiani in particolare di chi è impegnato un prima linea nel sociale e nel politico.

Così lasciato solo il pensiero di Giovanni Paolo, snobbato il magistero di Benedetto XVI (pensiamo all’impedimento a parlare all’università romana o alle polemiche seguite al profetico intervento di Ratisbona) e le sue fondamentali encicliche su Fede Speranza e Carità , in mancanza di un giudizio originale ci si attacca al flusso delle opinioni prevalenti, spesso ben indirizzate da chi ha il potere di influenzare, se non di imporre, i valori cui la società moderna dovrebbe conformarsi.

Questo é già grave in generale- basti vedere la confusione nei dibattiti, la contrapposizione feroce delle diverse posizioni, l’atteggiamento verso le guerre o la scienza e le sue nuove possibilità.

È più grave ai miei occhi quando è la chiesa, o parti importanti di essa, a uniformarsi alla cultura prevalente. Problemi seri e importanti – clima, ambiente, migrazioni, guerra e pace – vengono affrontati con gli stessi criteri del “mondo” con il risultato di non contribuire a risolverli e nello stesso tempo di non testimoniare che è la bellezza della chiesa vissuta, della comunione dei cristiani, la risposta più adeguata ai problemi degli uomini di oggi.

“Costruendo la chiesa il Cristiano costruisce il mondo (…) realizzando un modo nuovo di vivere i rapporti umani. affettivi, culturali, economici, sociali e politici, costruisce una nuova realtà di mondo “ (E. Corecco, Sinodalità e comunione, EDB, 2023, pag. 37).

Chi ha occhi per vedere si accorge che dalla chiesa nel mondo giungono testimonianze quotidiane di fede che andrebbero sempre più conosciute e diffuse: anche la chiesa italiana, dove cosi ricche sono le presenze accanto a chi più è nel bisogno, non ha certo necessità di farsi indicare come esempio uno pseudo rivoluzionario peraltro ora in gravi guai giudiziari.

Ripartire dalla comunione, perché tutti possano vedere- come si tempi degli apostoli e fino ad oggi – che “il fatto cristiano è una possibilità di esistenza radicalmente nuova” (Corecco, cit. ) e quindi anche capace di un giudizio nuovo sulla realtà.

didascalia: immagine da Pixabay

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