Da Bergamo all’Adriatico, l’architettura di Venezia come segno identitario

Fonte: https://www.anvgd.it/da-bergamo-alladriatico-larchitettura-di-venezia-come-segno-identitario/

di Lorenzo Salimbeni 

L’impronta architettonica dell’Adriatico orientale rappresenta una delle prove tangibili più evidenti del radicamento della cultura italiana e pertanto nell’approccio interdisciplinare che contraddistingue la Scuola Estiva di alta formazione per docenti promossa dal Tavolo di Lavoro Ministero dell’Istruzione e del Merito – Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati, la terza giornata dell’edizione 2023 è stata dedicata proprio all’architettura e alla storia dell’arte.

Magistrale l’inquadramento iniziale fornito dall’Arch. Massimiliano Tita, il quale ha prima di tutto evidenziato che al di là dei confini politici sono stati quelli morfologici a rendere il mare Adriatico un bacino di circolazione di idee, lingua e cultura omogenee fin dai tempi dell’antica Roma. In particolare l’alto Adriatico era parte integrante dell’Italia nella suddivisione amministrativa della penisola in Regiones attuata dall’Imperatore Augusto: Venetia et Histria era la X Regio e nelle epoche successive, mentre nel resto d’Italia si sarebbero succedute dominazioni straniere e frammentazioni territoriali, Venezia e l’Istria rimasero saldamente legate per secoli.

«Lo sviluppo della Repubblica di Venezia avrebbe reso il mare Adriatico un’estensione del Canal Grande nel Mediterraneo – ha spiegato l’architetto Tita – tanto che l’Adriatico nella cartografia dell’epoca veniva spesso chiamato nella sua interezza Golfo di Venezia. Proprio in quanto la costa orientale era un dominio stabile, la Serenissima vi effettuò ingenti investimenti per edificare palazzi, chiese, mura e porte che dimostrassero un’appartenenza. Il leone di San Marco ne era il simbolo più efficace»

Analogamente la presenza romana è rimasta evidente nella costruzione dell’Arena di Pola modellata sul Colosseo, così come del breve periodo di appartenenza allo Stato italiano rimangono edifici pubblici realizzati in stile razionalista come nel resto del territorio metropolitano: in ogni caso si tratta di assonanze costruttive che attestano una comune appartenenza. Nel ventennio fascista, inoltre, il regime si adoperò per promuovere il turismo italiano nelle province annesse dopo la Prima guerra mondiale e farne apprezzare l’italianità, con lo slogan di “Italiani. Visitate l’Italia”, che è proprio il titolo del libro che la professoressa Ester Capuzzo ha dedicato a questa pagina di storia del turismo.

Ben prima che la Legge 92/2004 istituisse il Giorno del Ricordo, la Regione Veneto aveva comunque promulgato una legge che ancora stanzia finanziamenti per interventi di tutela, manutenzione e restauro del patrimonio veneziano in Istria e Dalmazia: un investimento fortemente identitario ma che al contempo promuove collaborazione europea transfrontaliera: «Questo significa considerare la storia non divisiva, bensì come un’occasione di condivisione in spirito europeo». Se quindi Venezia ha caratterizzato l’assetto urbano istriano e dalmata, il rapporto è stato reciproco, poiché la pietra bianca ed il legno delle navi e delle fondamenta della città dei Dogi provengono dall’Istria.

«Il leone marciano ha una grande potenza evocativa – ancora Tita – basti pensare che l’esemplare che si trova più a occidente nel Mediterraneo è in Sardegna, a Fertilia, città di fondazione che accolse centinaia di esuli istriani, i quali vollero mettere sul campanile cittadino proprio quel simbolo come ricordo delle loro radici»

Come affermato dal Professor Giuseppe de Vergottini nell’enciclopedica opera Il territorio adriatico, l’architettura costituisce insomma il linguaggio comune unificante lo spazio adriatico. E che si tratti di opere di immenso valore culturale è stato ulteriormente certificato dall’Unesco, che nel 2017 ha riconosciuto come facenti parte del Patrimonio mondiale le Opere di difesa veneziane tra 15° e 17° secolo Stato da Tera – Stato da Mar Occidentale.

Tale argomento è stato quindi minuziosamente esposto da un team di relatori dell’Università di Bergamo, con la Prof.ssa Virna Nannei che ha innanzitutto presentato le località che sono state coinvolte in questo sito seriale e transnazionale, vale a dire Bergamo appunto, Peschiera del Garda, la città fortezza di Palmanova in Friuli, il sistema difensivo di Zara in Dalmazia, il forte San Nicola di Sebenico (sempre in Dalmazia) e la città fortezza di Cattaro in Montenegro.

Quest’ultima presenta assetti difensivi sia da terra sia dal mare e risale ad un periodo in cui le fortificazioni cominciavano a risentire dello sviluppo delle artiglierie. Bergamo e Sebenico rappresentano una fase sperimentale nell’evoluzione della tecnica difensiva, mentre Peschiera, Zara e Palmanova offrono una piena espressione consolidata delle nuove tecniche di difesa.

La professoressa Monica Resmini ha quindi cominciato a portare l’attenzione su Bergamo, che quest’anno peraltro è Capitale italiana della Cultura assieme a Brescia. La realizzazione di una nuova cinta muraria si era resa necessaria dopo la battaglia di Agnadello (1509), allorché la Serenissima, sconfitta dalla Lega di Cambrai, dovette elaborare un sistema di fortificazioni per difendere i propri possedimenti sulla terraferma. Contrariamente a quanto avveniva fino allora, vennero coinvolti nella progettazione e nella realizzazione dell’opera fortificata anche comandanti militari, i quali poterono fornire accorgimenti e suggerimenti operativi. Dovendo realizzare quest’opera in posizione dominante sulla collina di Bergamo alta, ne derivò, dopo polemiche e discussioni tra architetti, militari e amministratori, una fortezza «dalla forma stravagante ma gagliarda» in cui ad esempio i baluardi non sono regolari ed il perimetro segue l’andamento del rilievo collinare.

Ulteriori dettagli sono stati forniti dal Professor Giulio Mirabella Roberti , il quale ha ricordato che il primo perimetro difensivo di Bergamo era stato fornito dalle antiche mura medievali, ancora chiamate “muraine”, ma si era resa necessaria una fortezza per controllare la via verso i Grigioni (e quindi i mercati dell’Europa settentrionale) cha valicava il passo San Marco ed era libera dai dazi che il Ducato di Milano imponeva per transitare lungo la più agevole via che costeggiava il Lago di Como.

«Venezia voleva avere una possibilità di espansione commerciale verso il nord Europa – ha spiegato Mirabella Roberti – ma la costruzione della fortezza si rivelò più imponente ed invasiva rispetto al progetto iniziale, con un impatto sul territorio ed i borghi adiacenti che scontentò i bergamaschi, già risentiti in quanto la parte bassa della città in forte espansione imprenditoriale rimaneva sguarnita»

Un’accurata presentazione dei bastioni, delle porte e delle necessità manutentive di questa poderosa costruzione ha completato l’esposizione.

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