Mons. Malnati, un varesino che ha amato i triestini ricevendone la gratitudine

Monsignor Ettore Malnati, originario della provincia di Varese, è al timone della parrocchia Nostra Signora di Sion a Trieste, che giovedì 25 Aprile celebrerà il cinquantesimo anniversario dalla sua istituzione. La parrocchia, voluta nel 1974 dal vescovo Santin, è stata affidata al Sacerdote, che da allora la guida con dedizione e amore.

Con un entusiasmo contagioso per il suo ministero sacerdotale, Monsignore è stato anche segretario particolare dell’arcivescovo mons. Antonio Santin per undici anni, periodo durante il quale ha assimilato l’immenso amore di quest’ultimo per i triestini. Malnati è riuscito a emergere come punto di riferimento e guida spirituale per la comunità di Trieste, rispondendo con sensibilità alle necessità di una terra che lo ha accolto. Egli è diventato un punto di riferimento per coloro che hanno vissuto l’esodo Giuliano-Dalmata, affermandosi come una presenza rilevante per gli esuli a Trieste.

Giovedì 25 aprile, il capoluogo giuliano si unirà per celebrare con mons. Malnati il mezzo secolo di vita della parrocchia Nostra Signora di Sion. Fondata in un contesto urbano di storia densa e intricata, la comunità è stata guidata dal Monsignore che, con profonda attenzione e impegno, l’ha fatta prosperare riuscendo a coinvolgere anche le nuove generazioni, da lui sempre ritenute essenziali per dare continuità a qualsiasi opera o attività. In occasione del 50° anniversario di fondazione della sua Parrocchia, abbiamo colto l’occasione per intervistarlo.

La Comunità ecclesiale N.S. di Sion è sorta in risposta a quali esigenze? Quali difficoltà e aspirazioni si sono affacciate?

«L’edificio della chiesa di N.S. di Sion apparteneva alla congregazione religiosa delle suore di Sion che a Trieste avevano un complesso educativo che partiva dalla scuola materna e portava le ragazze sino all’università. La costruzione della chiesa risale al 1894. Negli anni Settanta la suore, chiuso il collegio, intendevano dare la chiesa all’università per farne una biblioteca. L’arcivescovo Santin si oppose affinché rimanesse un luogo di culto. La comunità di Sion è sorta perché alcuni professori universitari dell’edificio adiacente alla chiesa avevano chiesto all’aricvescovo mons. Antonio Santin di fare in modo che la chiesa fosse aperta per il rione e per gli studenti dell’università. La situazione della chiesa, per almeno 7 anni chiusa ed utilizzata qualche volta da qualche gruppo, era in condizioni pietose, sia per le storiche vetrate, che per il riscaldamento, l’organo, l’impianto elettrico etc. Il Vescovo accettò i il suggerimento dei docenti e io stesso (ero suo segretario particolare) lo accompagnai a vedere la chiesa alla fine di marzo del 1974.  Rimase molto colpito dallo stato in cui si trovava l’edificio e dopo qualche settimana mi chiese di occuparmi della chiesa e di attivarne una minima attività pastorale sia per l’università che per il rione, Così nacque la mia presenza il 25 aprile 1974. Da allora, da rettore divenni poi parroco (nel 1994) di questa bella chiesa nella quale è cresciuta e si è formata una qualificata comunità».

Quali eventi hanno lasciato un’impronta indelebile nella cinquantennale storia della parrocchia?

«Ne ricordo alcuni. I momenti più significativi sono stati la consacrazione della chiesa con il Vescovo mons. Bellomi; la fondazione dell’associazione cultuale Studium Fidei per il dialogo ecumenico ed interreligioso che opera indefessamente da 46 anni. I primi destinatari di questa associazione furono i giovani universitari della FUCI di cui ero assistente e poi persone impegnate nel dialogo ecumenico ed interreligioso e sul piano culturale nei vari settori della città. Molti momenti che hanno qualificato le iniziative culturali sono stati quelli con la presenza di personalità della cultura come il card. Poupard, il filosofo Tilliet, il card Tettamanzi, lo scienziato Zichici, mons. Capovilla, mons. Macchi, card Cottier, card Kasper, mons Van Thuan, il rettore dell’università di Trieste prof Fermeglia, la scrittice Susanan Tamaro etc. Altri momenti importanti:la costruzione del nuovo centro pastorale e dell’oratorio con la benedizione della prima pietra fatta dal Metropolita serbo ortodosso, Jovan e dal Vescovo mons. Gianni Danzi. La ristrutturazione a norma della riforma liturgica; il mio 50esimo di sacerdozio con il conferimento del sigillo trecentesco della città di Trieste; le prime messe di 4 giovani che qui hanno maturato la loro vocazione presbiterale, e tanti altri momenti ancora. Un indimenticabile evento è stato quello della presenza della reliquia del cuore del Santo Curato d’Ars, portato dal Vescovo di Belley Ars nella nostra chiesa per una singolare missione, dalla quale sgorgò poi la costituzione della parrocchia».

Quali personalità hanno avuto un ruolo significativo nello sviluppo e nel progresso della  parrocchia?

«Alla prima messa celebrata quel 25 aprile 1974 alle ore 18 erano presenti 4 persone. Oggi l’oratorio è luogo in cui trovano sistematicamente 200 tra ragazzi e ragazze non solo per il gioco, ma anche per la crescita umana  e formativa. La domenica attorno all’altare non vi sono mai meno di un centinaio di ragazzi. La Comunità è cresciuta grazie alla disponibilità di giovani, di uomini e di donne che si sono lasciati coinvolgere nei momenti culturali, ricreativi e catechetici. Un pensiero riconoscente alle laiche consacrate e associate  dell’istituto secolare A.R.A., che ha la sede centrale a Laveno».

Quali sono state le gioie e le sfide che ha sperimentato nel suo ruolo di pastore e guida spirituale della parrocchia, dalla sua fondazione fino ai giorni nostri?

«Aver fatto crescere ed accompagnato per 50 anni una Comunità, ai nostri giorni è non solo un’eccezione,ma anche una grazia singolare sia per il presbitero che per la Comunità stessa, in quanto il presbitero e la Comunità vengono a costatare quanto sia importante adattarsi in senso diaconale ai vari cambiamenti al fine di far sì che l’annuncio evangelico e la fraternità abbiano sempre una freschezza che viene dall’attualità, senza con questo cadere in populismi o relativismi che mortificano l’originalità dell’impegno pastorale. L’essere stati per 50 anni in quell’habitat umano e territoriale fa sentire il presbitero carico di una  paternità ed anche testimone di una storia che coinvolge momenti lieti e tristi di ciascuno e della comunità intera».

Qual è il messaggio che verrà rivolto ai fedeli della Comunità di Nostra Signora di Sion in occasione del suo cinquantesimo anniversario?

«Il messaggio che vorrei offrire alla mia Comunità è quello di essere “ospedale da campo” cioè presenza ecclesiale di accompagnamento per tutte quelle persone e situazioni che cercano senso, umanità e spiritualità in tutte le varie fasi dell’esistenza».

 
In occasione del cinquantesimo anniversario della nostra N.S. di Sion, quali persone hanno lasciato un’impronta significativa? E perché hanno avuto un impatto così importante nella storia di questa comunità?

«Le figure che vorrei ricordare in questo giubileo sono diverse. In primo luogo l’arcivescovo mons. Santin che mi ha ordinato sacerdote, di cui sono stato segretario e che mi ha fatto pastore di questa Comunità. Il Papa Paolo VI che attraverso il suo segretario mons. Macchi, mio concittadino, mi inviò il primo contributo per il restauro e quindi l’apertura della chiesa di Notre Dame per gli studenti universitari. L’indimenticabile amico mons. Loris Capovilla che tanto mi incoraggiò con la sua parola e la sua attenzione per il mio impegno ecumenico e interreligioso. Mons. Pasquale Macchi del quale fui collaboratore in modo particolare per la causa di Paolo VI e che volle essere più volte presente a presiedere la celebrazione eucaristica nella chiesa di Sion, offrendoci anche preziose reliquie del santo pontefice Paolo V».

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