Discorso dell’Arcivescovo ad amministratori pubblici, politici e responsabili del bene comune

Nella basilica di sant’Ambrogio a Milano monsignor Mario Delpini, martedì sera 6 Dicembre, ha rivolto una riflessione destinata in particolare ad amministratori pubblici, politici e responsabili del bene comune.

“E gli altri? Tra ferite aperte e gemiti inascoltati: forse un grido, forse un cantico”: questi il titolo e il sottotitolo del Discorso alla Città e alla Diocesi che l’Arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha pronunciato martedì sera nella basilica di Sant’Ambrogio, durante i Vespri per la solennità del santo patrono della città.

La riflessione dell’Arcivescovo è rivolta in particolare ad amministratori pubblici, politici e responsabili del bene comune che vivono e operano nel territorio della Diocesi di Milano.

Del testo pubblichiamo qui l’Introduzione con l’avvertenza che l’intera riflessione è pubblicata a cura del Centro Ambrosiano ed è reperibile nelle librerie cattoliche della diocesi

«Questo discorso, chiamato solennemente “discorso alla città”, è l’intervento più istituzionale dell’Arcivescovo di Milano, grazie all’impegno che hanno profuso i grandi Arcivescovi che mi hanno preceduto e grazie all’attenzione che gli uomini e le donne delle istituzioni hanno rivolto a quegli interventi. È un momento istituzionale. Eppure non posso trattenermi da una confidenza personale. Con il passare degli anni trovo sempre più insopportabile il malumore. Trovo irragionevole il lamento. Trovo irrespirabile l’aria inquinata di frenesia e di aggressività, di suscettibilità e risentimento. Perciò anche in questo momento solenne e in questa congiuntura singolare io vorrei dire le parole che mi sono più congeniali e condividere i sentimenti più profondi. Vorrei dire che il linguaggio di Milano e di questa nostra terra è la fierezza di poter affrontare le sfide, è la generosità nell’accogliere e nel condividere, è la saggezza pensosa che di fronte alle domande cerca le risposte, è la franchezza nell’approvare e nel dissentire, è la compassione che non si accontenta di elemosine ma crea soluzioni, stimola a darsi da fare, inventa e mantiene istituzioni per farsi carico dei più fragili. Milano e la gente che abita in questo territorio non si stupirà se metto nel titolo di questo discorso un punto di domanda: perché voglio fare l’elogio dell’inquietudine, voglio condividere l’aspetto promettente di un realismo che custodisce la speranza e che crede nella democrazia e nella vocazione della politica. Lettura del Libro dei Re (1Re 3,5-9). A Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Salomone disse: «Tu hai trattato il tuo servo Davide, mio padre, con grande amore, perché egli aveva camminato davanti a te con fedeltà, con giustizia e con cuore retto verso di te. Tu gli hai conservato questo grande amore e gli hai dato un figlio che siede sul suo trono, come avviene oggi. Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?». Ambrogio, I doveri, III, 3 (SAEMO, 13, 287) [23] Che cos’è tanto contrario alla natura quanto offendere un altro per il proprio interesse? Eppure il sentimento naturale ci suggerisce di vegliare su tutti, di affrontare noie e sopportare fatiche per tutti; e si considera per ciascuno motivo di lode procurare con proprio rischio la tranquillità di tutti; e ognuno ritiene cosa di gran lunga preferibile aver scongiurato la rovina della patria che l’aver trascorso, lontano dagli affari, una vita tranquilla in mezzo ai piaceri. [45] … ma anche quelli che escludono i forestieri dalla città non meritano certo approvazione. Ciò significa cacciarli proprio quando si dovrebbero aiutare, impedire loro i rapporti con la madre comune, rifiutare loro i frutti che la terra produce per tutti, troncare le relazioni di vita già iniziate, non voler dividere in tempo di necessità le risorse con quelli con i quali furono comuni i diritti.

[46] Agì assai meglio quell’anziano che, siccome i cittadini soffrivano la fame e da ogni parte si chiedeva, come suole avvenire in tali frangenti, l’allontanamento dei forestieri, forte della sua responsabilità maggiore quale prefetto della città, convocò gli uomini più autorevoli e ricchi e chiese loro di prendere immediatamente una decisione dichiarando mostruoso il fatto che i forestieri venissero scacciati, disumano chi rifiutava il cibo a un moribondo. Non sopportiamo che i cani siano digiuni mentre mangiamo e scacciamo gli uomini. [51] Nulla c’è di così conveniente ed onesto che aiutare i poveri con le offerte raccolte tra i ricchi, distribuire viveri agli affamati, assicurare a tutti il cibo. Nulla c’è di così utile come conservare i coltivatori al loro campo e impedire che il popolo dei contadini perisca. [52] Ciò che è onesto, dunque, è utile; e ciò che è utile, onesto. E, al contrario, ciò che non è utile è sconveniente; e ciò che è sconveniente non è utile».

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