Poche ore e sapremo che rotta prenderà Taiwan, l’isola della democrazia

Generale Giuseppe Morabito, membro del Direttorio della NATO Defence College – Negli ultimi giorni la campagna elettorale nella Repubblica di Cina – Taiwan che è stata presentata come una scelta tra “guerra e pace” o “democrazia e autocrazia”.

Inoltre, un allarme aereo a livello nazionale dopo il lancio di un satellite dalla Cina Popolare avrebbe potuto causare il panico perché, prendendo arbitrariamente spunto da una non perfette traduzione in inglese della parola cinese “missile” invece che “satellite”, l’opposizione, ho accusato il governo di creare allarmismo giorni prima di un’elezione che avrà, logicamente, implicazioni di vasta portata.

Sabato 13, la nazione insulare di 24 milioni di abitanti si appresta ad affrontare le elezioni presidenziali più seguite dalle prime elezioni democratiche asiatiche del 1996. Le urne si apriranno alle 8 del mattino e si chiuderanno otto ore dopo, con il risultato atteso in serata stessa.

Circa venti milioni di persone hanno diritto di voto e nel 2020 quasi il 75% l’ha esercitato. Politicamente, Taiwan abbraccia con orgoglio la sua idea democratica che è relativamente nuova. La stagione elettorale parrebbe essere stata un miscuglio di turbolenti eventi elettorali, notizie false e scandali politici che spesso hanno messo in ombra i seri e complessi dibattiti politici sull’identità in evoluzione della Repubblica di Cina, sul suo posto in un mondo che a causa della politica di Pechino, non la riconosce e sulla minaccia alla sua esistenza democratica reiterata dalla Cina Popolare.

La presidente Tsai Ing-wen terminerà’ a maggio il suo secondo mandato, ma il suo vicepresidente, Lai Ching-te, si presenta come candidato alla continuità. Tsai e Lai provengono dal Partito Democratico Progressista (DPP), un gruppo contrastato da Pechino, che li considera separatisti.

La Cina Popolare vede Taiwan come una provincia e ha promesso da tempo di “riunificarla” e non ha certo escluso l’uso della forza per raggiungere tale obiettivo, una prospettiva che minaccia di portare la regione, e forse il mondo, in un altro conflitto.

Di fronte a Lai c’è l’ex capo della polizia, Hou You-yi, del partito conservatore Kuomintang (KMT), che sostiene la necessità di legami economici più stretti con la Cina Popolare.

Entrambi i partiti si oppongono all’annessione cinese ma Hou si autodefinisce come il candidato che sarà in grado di impegnarsi in un dialogo con Pechino di cui Lai sarebbe, secondo lui, “incapace”. Anche se la Cina Popolare incombe sulle elezioni, anche le questioni interne sono importanti.

Secondo i sondaggi, la preoccupazione numero uno per gli elettori è l’economia. Ciò riflette il fatto che i salari reali sono cresciuti in media solo dell’1% negli ultimi dieci anni e gli alloggi a prezzi accessibili rimangono fuori dalla portata di molti giovani.

I partiti di minoranza accusano il DPP di cattiva gestione economica, ritenendo il partito responsabile della carenza di alcuni alimenti e dei blackout elettrici che hanno colpito l’isola negli ultimi anni.

I candidati hanno trascorso settimane viaggiando per Taiwan, organizzando eventi elettorali per centinaia di migliaia di persone nei templi, nelle scuole e nelle piazze delle città.
Il tentativo del KMT di rinominarsi come partito della gente normale suona vano a molti elettori più anziani e serpeggia nei giovani la paura che Taiwan diventi la prossima Hong Kong e cioè una “provincia” oppressa dal regime comunista e senza diritti democratici.

Un terzo polo per il voto è il 64enne Ko Wen-je. Ko e’ il fondatore del nuovo arrivato Partito popolare di Taiwan (dal 2019). Ko, un ex chirurgo si presenta come un tecnocrate che può offrire una “terza via”, oltre a risolvere questioni come la crescita dei salari e l’edilizia abitativa. È un approccio che potrebbe aver avuto particolare risonanza tra i più giovani, che non sembrerebbero preoccupati dalla sua mancata posizione chiara sui rapporti con la Cina Popolare .

L’insolita corsa del 2024 ha ribaltato le tradizionali aspettative “su due poli” degli elettori taiwanesi, un terzo candidato come Ko potrebbe conquistarne diversi seggi. C’è quindi una concreta possibilità che il DPP possa vincere la presidenza ma perdere la maggioranza nella Camera (113 seggi), introducendo la possibilità di uno stallo politico.
Su tutto questo incombe, e di primario interesse per il resto del mondo, la Cina Popolare.

Pechino ha utilizzato come armi le esercitazioni militari, la coercizione economica, la guerra cognitiva e l’isolamento diplomatico per fare pressione su Taiwan e sul suo popolo affinché si arrendano senza combattere e accettino l’annessione. Giovedì, l’Ufficio cinese per gli affari di Taiwan ha affermato di sperare che la maggioranza dei taiwanesi riconosca l’“estremo pericolo” di un potenziale scontro attraverso lo Stretto.

La propaganda minacciosa della Cina Popolare è motivo di profonda preoccupazione per i taiwanesi e di cui molti sono oramai stufi di parlare. Negli anni trascorsi dalle ultime elezioni, le minacce della Cina Popolare sono diventate più gravi. Migliaia di taiwanesi si sono iscritte a gruppi di protezione civile, i magnati della tecnologia stanno finanziando la formazione delle milizie locali e ci sono segnali d’investitori che sviluppano piani di emergenza.

Se il KMT vincerà sabato 13, Hou dovrà bilanciare la sua promessa di essere più amichevole con la Cina Popolare con la volontà di un popolo che è molto più sospettoso nei suoi confronti rispetto all’ultima volta che il KMT ha governato. Se il DPP dovesse vincere, una reazione ostile da parte della Cina Popolare è probabile, la domanda è su quale forma assumerà.

Nelle elezioni è in gioco il futuro di Taiwan, è in gioco la democrazia e non fare dell’isola una seconda Hong Kong. Mancano poche ore e sapremo dove tira il vento…

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