L’Europa vaso di coccio tra Russia e America

Siamo arrivati alla vigilia delle elezioni: termina una campagna elettorale nella quale i diversi partiti (con limitatissime eccezioni) hanno fatto di tutto per offrire il peggio si sé. Demonizzazione dell’avversario, fino agli insulti; protagonismi e personalismi strabordanti fino a nascondere la povertà delle proposte; vaghezza di giudizio politico sulla complessa e pericolosa situazione internazionale nella quale siamo immersi.

Più la confusione è diffusa, più gli elettori cercano un qualche “salvatore della patria” al quale affidare la propria speranza.  E’ stato così cinque anni fa con il successo del movimento di Grillo, in precedenza a livelli analoghi era arrivato Salvini e prima ancora Renzi: tutti oggi seduti sulle macerie delle proprie avventure.

Dai sondaggi sembra emergere il possibile successo del centro-destra (o meglio del destra-centro) a guida Giorgia Meloni e già si intravedono all’orizzonte i possibili inciampi che si troverà sul suo possibile futuro cammino.

Quello che colpisce le persone comuni, l’elettore medio, quelle persone cioè che vorrebbero potere scegliere con il voto una prospettiva positiva per sé, la propria famiglia, il lavoro e la convivenza civile è l’assoluta impossibilità di influire sul corso degli eventi.

E’ sempre più evidente che i centri delle decisioni fondamentali per la vita di un paese, anche del nostro, sono spesso fuori dai confini e in mano a personaggi cui nessun elettorato ha affidato tali deleghe.

E’ quanto avviene, per esempio, nell’Unione Europea dove una pletora di oltre trentamila funzionari condiziona le scelte degli organismi politici. Basti pensare alle dissennate scelte in campo ambientale che hanno messo a rischio le prospettive di crescita di molti paesi membri (tranne quelli, ovviamente, che vivono di pura finanza e speculazioni e sono pure definiti frugali!) ancora prima che l’attacco russo all’Ucraina aggravasse ulteriormente la situazione; e anche al ruolo subalterno che in questa guerra sta svolgendo l’Unione Europea la cui azione è difficile da distinguere rispetto a quella della Nato che è una alleanza militare e vive quindi di logiche dalle quali dovrebbe differire una seria politica europea.

Un osservatore attento delle questioni internazionali come è il giornalista Robi Ronza ha scritto recentemente nel suo blog: “Incombe inoltre la Commissione Europea, che da qualche anno sempre più si atteggia a governo dell’Unione benché non ne abbia titolo. Il vertice dell’Unione Europea a norma dei trattati è il Consiglio Europeo, ossia l’assemblea dei capi di governo degli Stati membri, ma ormai viene sommerso dalla Commissione, in cui è grande l’influsso della Germania. Avrebbe dei compiti limitati, ma li travalica regolarmente senza incontrare alcuna seria opposizione.

In tale prospettiva, assumendosi così compiti politici che sarebbero del Consiglio, fissa d’autorità obiettivi e impegni degli Stati membri, in particolare di quelli che, come l’Italia, si trovano a ricevere aiuti dall’Unione. Resta perciò da vedere quale spazio di decisione resti al prossimo governo italiano, qualunque esso sarà, con tutti gli impegni che si sono presi con la Commissione.”

Non solo di politica europea dovrà occuparsi il prossimo governo: il nostro paese ha un rapporto speciale con il bacino del mediterraneo e i popoli e paesi che vi si affacciano, un tempo svolse un ruolo prestigioso e riconosciuto e che oggi è stato ridimensionato dall’iniziativa altrui (vedi interventi in Libia di Francia e Inghilterra e l’accresciuto ruolo della Turchia). E’ tempo di tornare a occuparsi con lungimiranza di quest’ area geografica nella quale sono presenti anche molti nostri interessi economici.

Restituire ai cittadini la speranza di tornare a contare nelle decisioni che li riguardano è il primo obbiettivo che dovrebbe porsi il nuovo parlamento, innanzitutto restituendo ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti con un sistema elettorale che cancelli definitivamente l’avventura del “Rosatellum”, causa non ultima della disaffezione elettorale.

In secondo luogo riallacciarsi con intelligenza a una politica internazionale che non si faccia definire dall’esterno (dividendo la politica e il paese tra filo atlantici e filo russi e/o cinesi) ma sappia rivendicare con orgoglio il proprio ruolo di mediazione tra i diversi interessi e poteri oggi in gioco, un gioco che appare oggi fin troppo pericoloso.

Troppi ambienti vedono ormai nell’uso della forza l’unica ragione della politica, ma sarebbe interessante che i prossimi parlamento e governo recuperassero quella capacità di mediazione tra diversi che è propria della nostra tradizione politica e dell’onore di ospitare l’autorità morale dei Papi, gli unici capaci di indicare sempre la via della pace.

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