Generale Morabito: Iran e Turchia variabili incombenti su Gaza 

Nel conflitto tra Israele e Hamas giocano un ruolo sia Teheran, sia Ankara.  Allo stato attuale gli iraniani sembrano intenzionati a non allargare il conflitto, che gli Stessi Stati Uniti sono impegnati a scongiurare.

La redazione di Vareseinluce ha intervistato il Generale Giuseppe Morabito, membro del Direttorio della NATO Defence College sul conflitto Israele-Palestina.

L’attacco avvenuto il 7 Ottobre in Israele è stato paragonato all’11 Settembre e alla guerra dello Yom Kippur del 1973. Secondo lei ci sono punti di contatto o si tratta di eventi storici completamente distaccati tra loro?

L’incursione terroristica sferrata da Hamas, infiltrandosi oltre la frontiera in territorio israeliano all’alba di Shabbat, è giustamente stata paragonata alla guerra dell’ottobre 1973, detta anche del Kippur o del Ramadan, scatenata quasi esattamente 50 anni fa.

La coincidenza tra le due date non è affatto fortuita , fin dall’effetto sorpresa abilmente sfruttato dagli aggressori, che hanno scelto, in modo subdolo, una festa religiosa ebraica.

L’attacco terroristico di Hamas si inserisce nel “doppio raid benedetto” lanciato da Al Qaeda contro New York e Washington l’11 settembre del 2001. Proprio come Bin Laden era riuscito a impressionare l’opinione pubblica musulmana, e mondiale, allo stesso modo i dirigenti di Hamas e il loro sponsor iraniano hanno cercato di evidenziare, come mai prima d’ora, le presunte fragilità d’Israele.

I terroristi hanno condotto un’azione che non ha precedenti. Non se lo aspettavano né per Israele né, di conseguenza, quell’ Occidente nord-atlantico di cui lo stato ebraico è il simbolo agli occhi di molti arabi. Pochi anni dopo l’11 settembre, Al Qaeda già non esisteva più, ma i nuovi rapporti di forza internazionali ne sono stati completamente stravolti.  Le immagini dei raid contro Sderot e altre località del sud d’Israele resteranno incise nella memoria collettiva, come una “variante terrestre” dell’attacco aereo contro le torri del World Trade Center . Da sottolineare che il raid di Hamas è stato reso possibile solo grazie agli aiuti a tutto campo forniti dall’Iran sciita sia per la fornitura di materiale bellico sia per i preparativi straordinari messi a punto dai servizi segreti di Teheran.

Come può Israele combattere una guerra contro Hamas senza indebolire il consenso internazionale?

Dall’inizio delle operazioni nella Striscia di Gaza i leader israeliani sanno di essere impegnati in una corsa contro il tempo: prima o poi, infatti, le reazioni del mondo spingeranno gli Stati Uniti a fare pressione su Israele affinché ponga fine ai combattimenti.  Il timore di Israele è che qualche paese (Francia in testa) possa spingere altri paesi a criticare l’azione in corso contro i terroristi a Gaza. Il governo di Tel Aviv, per convincere gli altri stati occidentali, a non cambiare la loro posizione, almeno per qualche tempo, deve ottenere risultati oggettivi. 

Questa possibile crisi è comunque rivelatrice del profondo malessere provocato dal tipo di guerra che Israele ha scelto di condurre a Gaza, decidendo di operare comunque alla neutralizzazione dell’organizzazione terroristica che si fa scudo dei civili e si nasconde negli ospedali e i quartieri residenziali. La portata del massacro del 7 ottobre autorizza Israele a compiere un’azione difensiva ma c’è una posizione molto diffusa che ritiene che l’IDF (Forse di Difesa Israeliane) non tenga in considerazione gli effetti collaterali sui civili palestinesi nelle sue azioni. Israele sbaglierebbe a non tenerne conto. 

Poi ci sono le dichiarazioni del presidente turco che visto quello che ha fatto la Turchia con i suoi eserciti, regolari e mercenari, nei territori curdi, in Libia e Nagorno Karabakh fa pensare che non ci sia limite al doppiogiochismo e Israele e il mondo democratico non debba tenere Ankara in considerazione.

Esiste il rischio di allargamento del conflitto. Come si comporterebbero gli Stati Uniti ed Europa in questo caso?

Se Israele dovesse essere attaccata anche da gruppi non statuali di paesi limitrofi o, peggio ancora, da altri stati, a quel punto il conflitto potrebbe allargarsi, e gli Usa potrebbero/dovrebbero scendere in campo e la stessa Europa difficilmente potrebbe restare fuori. Oggi nessuno vuole che l’area esploda, non lo vogliono gli Usa e neppure l’Iran.

Il problema è che molto dipende anche da quanto si spingerà avanti Tel Aviv. Israele è molto autonoma rispetto alla comunità internazionale, lo sta dimostrando anche rispetto agli inviti alla prudenza giunti dal presidente americano Biden che, pur riconoscendo il pieno diritto degli israeliani a difendersi, ha fatto una sorta di mea culpa sulla reazione americana rispetto al citato attacco terroristico alle Torri Gemelle.

I lanci di razzi contro la Galilea, “in segno di solidarietà con Gaza”, eseguiti da Hezbollah, il partito sciita libanese affiliato alla Repubblica islamica di Iran, e la risposta immediata da parte israeliana, ventiquattr’ore dopo l’incursione di Hamas, stanno comunque a indicare tanto un’immediata ma parziale estensione del conflitto quanto il coordinamento delle manovre per mano della Forza Quds, la sezione speciale dei Pasdaran iraniani. L’Iran è centrale per il possibile allargamento, EU e USA lo sanno bene.

Il cessate il fuoco da più parti richiesto come può influire sulla strategia di Israele? 

Concordo con quanto indicato da fonti americane che sostengono che fino a quando Hamas insisterà sulla sua ideologia di distruzione, un “cessate il fuoco” non è segnale o indice di pace. Per i membri di Hamas ogni cessate il fuoco sicuramente serve per ricostituire le scorte di razzi, riposizionare i combattenti e iniziare nuovamente attività terroristiche. Washington sostiene che la strategia di Hamas è nascondersi fra i civili palestinesi, usare i bambini e gli innocenti come scudi umani, mettere i tunnel sotto gli ospedali, le scuole, le moschee e gli edifici residenziali e, a mio parere, non ha torto ma ragione. Israele ne deve tener conto, ma il problema dei “prigionieri di guerra” rimane notevole. 

Israele ha compiuto incursioni negli aeroporti di Damasco e di Aleppo. Il motivo è di tenere alta l’attenzione su questo fronte? 

Negli oltre dieci anni di guerra in Siria, Israele ha lanciato molti di attacchi aerei contro il paese al suo nord, colpendo principalmente le forze sostenute dall’Iran e l’organizzazione filo militare siriana libanese di Hezbollah, oltre alle postazioni dell’esercito siriano. Tel Aviv raramente ha commentato le singole attività che porta a termine in Siria, ma ha ripetutamente affermato che non permetterà al suo acerrimo nemico, l’Iran, che sostiene il governo del presidente Bashar al-Assad, di espandere la sua presenza nel Paese. Distruggere le piste di atterraggio interrompe sia l’arrivo di supporto logistico sia quello di diplomatici per consultazioni e colloqui a sostegno delle azioni terroristiche sul suolo di Israele.

A Gaza l’esercito israeliano deve affrontare la battaglia nei tunnel. Che cosa può fare per non causare perdite eccessive tra i civili?

E’ necessario pensare alla Striscia di Gaza come a un doppio strato: uno, visibile, per i civili palestinesi, l’altro, invisibile, per i terroristi. Il secondo strato costruito da Hamas è all’obiettivo cui sta mirando la reazione militare di Israele: la rete infera, labirintica, occulta che corre sotto la Striscia. Si tratta della “metropolitana di Gaza”, come l’hanno battezzata i vertici militari israeliani.

Nei cunicoli scavati sotto la superficie della Striscia, martellata senza soluzione di continuità dai raid dello Stato ebraico, si annodano tutti i fili di questa guerra ibrida, nella quale sono i civili le prime vittime. Prima di tutto rimane importantissima la sorte dei “prigionieri di guerra” israeliani, che Hamas puntava a usare come scudi umani e che si è ormai certi, siano stati nascosti proprio nei tunnel.

Attraverso le gallerie, i terroristi si sono infiltrati in Israele facendo scempio dei civili e, su questo si può avere una certezza, non ci sarà sicurezza per lo Stato ebraico finché la rete sotterranea non sarà distrutta. All’esistenza dei tunnel, è appeso anche l’esito dell’operazione di terra israeliana perché’ nelle gallerie si celano le principali insidie per i soldati dell’IDF. L’intera Striscia è, insomma, una trappola in quanto la guerra sotterranea per chi combatte nei tunnel risulta molto intensa e anche i civili in superficie, che non possono accedere ai tunnel, ne rimangono vittima anche perché, se vi accedessero, ostacolerebbero i movimenti dei terroristi.

Nei tunnel, infatti, prosegue la caccia ai big dell’organizzazione, lì si nascondevano numerosi comandanti di Hamas. Ricordo che l’IDF ha diffuso un’immagine che mostra le armi scoperte all’interno e sotto l’ospedale Al-Quds di Gaza City, mentre un’altra serie d’immagini, mostra l’interno di un tunnel nell’ospedale Rantisi.

Finita la guerra come potranno convivere israeliani e palestinesi. Sembra problematica la scelta dei “due popoli due Stati”? Inoltre, secondo lei, l’amministrazione Biden, ha una proposta o un piano di pace per Palestina e Israele?

ll presidente degli Stati Uniti, Joe Biden,ha dichiarato in una conferenza stampa, di aver detto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahuche una soluzione a due Stati è l’unica risposta per risolvere il conflitto israelo-palestinese e che occupare Gaza sarebbe un errore. Dopo aver anche incontrato il presidente cinese Xi Jinpinga San Francisco, Biden ha dichiarato che sta facendo tutto il possibile per liberare gli ostaggi (per me oramai si dovrebbe parlare di prigionieri di guerra) detenuti da Hamas a Gaza, ma che ciò non significa inviare l’esercito americano. Una svolta sul fronte diplomatico, comunque con approvazione USA, dopo settimane di aspre trattative e quattro voti andati a vuoto, c’è stata. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che chiede “pause e corridoi umanitari” nella Striscia di Gaza.

Rimangono due enormi problemi.

Il primo è l’Iran che sostiene che l’unica soluzione al conflitto in Medio Oriente è uno Stato palestinese “dal fiume al mare”. Per Teheran, l’unica soluzione per questo conflitto è continuare la resistenza contro quella che definisce l’oppressione israeliana; questo fino alla creazione di uno Stato palestinese dal Giordano al Mediterraneo. Praticamene la scomparsa dello Stato di Israele.

Il secondo la Turchia. Erdoğan, il cui governo sostiene ampiamente i palestinesi, ha accusato Israele di agire come uno Stato “terrorista” nella sua azione contro Hamas. Si tratta del presidente di un paese membro dell’Alleanza Atlantica che sostiene posizioni quantomeno assurde. Qualche giorno fa, Erdoğan oltre all’improbabile definizione di Israele quale “Stato terrorista”, ha accusato l’Occidente di “sostenere apertamente i massacri” a Gaza, e ha affermato che la legittimità stessa di Israele è “messa in discussione a causa del suo fascismo”. Inconcepibile quando si parla dello “Stato democratico” di Israele che si difende contro “l’organizzazione terroristica” Hamas. 

didascalia: Generale Giuseppe Morabito – membro del Direttorio della NATO Defence College

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