È morto don Riboldi, il prete dei nomadi

«Scompare un prete che ha saputo vivere con radicalità la testimonianza del Vangelo e un punto di riferimento per la comunità rom.

La sua scelta di farsi povero tra i poveri, di vivere come un rom, pur non essendolo, è stata una provocazione anche per molti credenti, costretti dal suo esempio a interrogarsi sui tanti luoghi comuni di cui questo popolo è ancora vittima e ostacolano, purtroppo, la sua piena integrazione».

Lo ha detto Luciano Gualzetti, direttore della Caritas ambrosiana, commentando la notizia della morte di don Mario Riboldi, avvenuta martedì sera all’età di 96 anni, in una casa di riposo della provincia di Varese.

Ordinato sacerdote nel 1953, don Riboldi cominciò ad incontrare i nomadi della periferia milanese. Iniziò così il suo viaggio con i popoli rom e sinti, vivendoci assieme.

Accolto e apprezzato dall’allora cardinale Montini e quindi futuro papa Paolo VI fu tra i promotori del primo e storico incontro della Chiesa cattolica con Rom e Sinti a Pomezia il 26 Settembre 1965. Dal 1971 al 2018, per 47 anni, è stato incaricato diocesano per la pastorale dei nomadi.

Ha svolto diversi ruoli in ordine alla evangelizzazione dei rom, sinti e camminanti sia come responsabile diocesano che nazionale, portando agli onori degli altari il 4 Maggio 1997, per la prima volta nella storia, il gitano Ceferino Jimenez Mall. Preziose le sue traduzioni nelle varie lingue rom della Bibbia, di testi liturgici e canti.

«La sua morte lascia in eredità alla comunità cristiana il dovere di guardare ai rom con occhi scevri da pregiudizi.

Caritas Ambrosiana intende farsene interprete, moltiplicando gli sforzi per aiutare i rom ad inserirsi nelle comunità e a superare lo stigma sociale», conclude Gualzetti.

(Credit foto: Vatican News)

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