Quando il Porta, due secoli fa, parlava di Giustizia

È stato osservato che gli errori dei giornalisti finiscono in prima pagina, dei medici sotto terra e dei magistrati in galera.

Per carità, “nessuno nasce imparato”, come diceva quel tale, ma certe cantonate, quando hanno conseguenze gravi sulla vita delle persone, devono essere sanzionate e comunque risarcite.

Trentun anni di prigione scontate da un innocente suscitano sentimenti che vanno ben oltre lo sconcerto.

In autotutela del proprio onore è bene che la Magistratura cominci a farsi un esame di coscienza e torni ad interrogarsi sul ruolo importane che riveste in un Paese democratico.

Anni fa fece scalpore un’indagine sulle motivazioni, addotte dalle matricole di Medicina di un noto Ateneo, nella scelta dei loro studi: status symbol ed elevato reddito. L’ideale di prepararsi per svolgere una missione a favore delle persone malate non affiorava minimamente.

Ecco sarebbe fondamentale che nel selezionare i futuri magistrati gli esaminatori accertassero che i candidati, oltre alle competenze giuridiche, mostrassero di possedere la profonda consapevolezza dell’alta responsabilità connessa al ruolo che saranno chiamati a svolgere.

I magistrati sono apicali funzionari di Stato con elevate retribuzioni e specifiche garanzie in virtù del delicato servizio che prestano alla comunità: la giustizia.

Una volta superato il concorso, il magistrato entra in ruolo e tutta la sua vita professionale è regolata dal Consiglio superiore della Magistratura, secondo il principio montesquieuvano della triplice divisione dei poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario.

Da trent’anni si discute di riforma della Giustizia perché in diverse circostanze il Terzo potere, la Magistratura, emettendo sentenze, ha interferito nella vita politica. La questione è molto complessa e per evitare dolorosi contrasti tra poteri, Parlamento e Governo, da un lato, Magistratura, da un altro, dovrebbero raggiungere una specie d’accordo tra gentiluomini, un “gentlemen’s agreement”.

Una formula tacita di comportamento in base alla quale quando un esponente politico compie atti passibili di denuncia (ovviamente accertati) non venga sanzionato, ma “consegnato” al suo mondo che, in autonomia, lo espelle.

Per la serie: poiché ti sei comportato male, noi ti rinneghiamo allontanandoti dal nostro consesso; e comunque se ti sei macchiato di gravi reati di quelli rispondi tu solo senza compromettere il contesto politico.

Dal canto suo la Magistratura deve però tornare ad applicare le leggi approvate dal Parlamento imponendosi di contenerne l’interpretazione, che spesso è frutto di discrezionalità.

Quante volte abbiamo sentito dire: eh, sai, il giudice ha interpretato in modo estensivo (o riduttivo) quel comma, per cui…

Ecco perché è fondamentale che coloro che amministrano la giustizia siano persone probe, equilibrate e capaci di spogliarsi dei pregiudizi ideologici.

I politici, ogni cinque anni, si sottopongono al giudizio dei cittadini che, attraverso il voto, li promuovono o li bocciano.

I magistrati, una volta superato il concorso, arrivano dritti dritti alla pensione senza alcun ostacolo. Nel pieno rispetto della loro autonomia vanno però resi efficienti degli istituti che ne controllino l’operato.

Fa riflettere il mondo della Giustizia degli uomini al quale anche il poeta dialettale milanese Carlo Porta (1775-1821) dedicò il celebre sonetto “Altra favola per i cocchieri a noleggio e i vetturini” (Altra favola per i carocciee e fiacaree)

La giustizia de sto mond
la someja a quij ragner
ordii in longh, tessuu in redond,

se troeuva in di tiner.

Dininguarda a mosch, moschitt
che ghe barzega on poo arent;
purghen subet el delitt
malappenna ghe dan dent.

All’incontra i galavron
sbusen, passen senza dagn,

e la gionta del scarpon
la ghe tocca tutta al ragn.

Fiacarista e vicciuritt
che vee foeura de manera,
innanz batt quij gambaritt
pensee ai mosch e alla ragnera

La giustizia di questo mondo
assomiglia a quelle ragnatele
ordite in largo e tessute in tondo
che si trovano nelle cantine

Dio riguardi mosche e moscerini
che le volano troppo vicino;
scontano subito il delitto
appena toccano la ragnatela

Al contrario i calabroni
la bucano, passano indenni

e il danno del buco
resta a carico del ragno.

Cocchieri e vetturini
che guidate freneticamente
piuttosto che frustare i cavalli
pensate a mosche e ragnatele

Morale, il Porta rammenta di non finire nei guai, sia ai cocchieri che prestano servizi ai privati con i propri calessi (mosche), sia ai vetturini (moscerini) a servizio dei propri datori di lavoro.

In pratica, egli dice, mentre chi è trasportato non rischia nulla (calabrone), su di voi ricadono tutte le responsabilità, in caso di sinistro, alle quali vi esponete conducendo all’impazzata i mezzi per soddisfare le richieste di coloro che trasportate.

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