25 Aprile, non solo Liberazione ma anche festa evangelica

Polemiche, discussioni e divisioni sembra che il 25 Aprile, giornata della Liberazione, è un’occasione nata solo per dividere e non per unire.

In questi giorni siamo stati assillati dai giornali cartacei e dai telegiornali che all’unisono invece di spegnere le polemiche sulla celebrazione della festa di Liberazione sembrano favorire la contrapposizione tra le parti anziché sostenere gli aspetti positivi della celebrazione che deve essere intesa come la giornata dell’unità nazionale ancor più dimenticata è la ricorrenza religiosa.

Il 25 Aprile non è solo la giornata della Liberazione, festa trascorsa da molti italiani, con le prime gite fuori porta, grigliate, visite ai musei.

I giornali hanno scordato che è anche la festa di San Marco evangelista, patrono della città di Venezia, festa molto sentita da quella parte denominata Confine Orientale, la cui storia ancora oggi è poco conosciuta.

Il 25 Aprile è anche l’anniversario della morte di San Marco Evangelista, che divenne patrono di Venezia per la sua grande opera di evangelizzazione. Il Santo viene ritratto con un leone alato con in mano un libro, infatti, la leggenda racconta che gli apparve in sogno un leone alato che disse: “Pace a te Marco, mio evangelista, qui riposerà il tuo corpo”. L’apparizione avvenne durante una notte di burrasca che colpi un villaggio di pescatori a Rialto, nel qual il Santo cercò riparo, prima di imbarcarsi per Alessandria d’Egitto, dove probabilmente trovò la morte.

Il 25 Aprile non è solo la giornata che ricorda la Liberazione ma trova nelle radici cristiane un valore più profondo e non articolato da interessi di parte che trasforma questa ricorrenza in una festa della discordia.

Pubblichiamo il ricordo di un esule istriana, racconta come la festa del 25 Aprile, era giornata di gioia da trascorrere con amici, parenti fatta di canti, balli e spensieratezza.

di Annamaria Crasti «Le ginestre in fiore, le colline intorno al paese, gli isolotti sparsi sul mare antistante sono ricoperti di quello splendore giallo e di profumi intensi. Nelle case e nelle e famiglie, le “done de casa” come si usa nel dialetto del luogo, sono intente nell’ultimare i preparativi.

I mariti attorniati dai figli, da parenti, sono già’ alla “Marina” aspettano, brontolando impazienti di salire in barca. Le “done de casa” stanno finendo di preparare “el merendin”. Frittate con “i sparesi selvadighi “ (asparagi selvatici) che crescono ovunque accompagnate anche dalle “sardele in savor” e dal prosciutto crudo istriano, dolcissimo, stagionato nelle soffitte attorniato dalla brezza del mare, tagliato a mano in fette grosse e morbide.

Il tutto accompagnato dal pane fatto in casa, cotto nello “sparherd” che sarà tagliato in grosse fette. Annamaria nel suo racconto ricorda “Attenzione guai a farlo cadere a terra, è grazia di Dio. Se cade a terra, lo si pulisce, lo si bacia e… non si butta, sarebbe peccato gravissimo”.

Nella tavola che celebra il 25 Aprile ad Orsera c’è anche la malvasia e il refosco, pregiatissimi, comperati dagli osti a Chioggia. Il tutto si chiude con il l “ pan di Spagna” dolce semplicissimo, squisito. Quando si cuoce nel forno, inonda la casa del suo aroma. Annamaria rivede la nonna che con una grossa terrina tra le gambe, sbattere farina e uova , fino a raggiungere la perfezione dell’impasto.

Finalmente le donne arrivano in Marina e, tutti insieme, con la barca a remi si attraversa quel piccolo braccio di mare che divide la terra ferma dallo “scoio San Sorsi”- l’isolotto di San Giorgio. Comincia la festa, di Primavera, la grande festa per San Marco. Il leone di San Marco che lega da secoli alla Serenissima, chiamata anche la “Dominante”, con la quale si condivide la lingua, la tradizione cultura storia da centinaia di anni. La festa del 25 Aprile assumeva un significato particolare. Era legato alla spensieratezza ci si riuniva per trascorrere il tempo tra risate, giochi dei bambini, canti accompagnati da fisarmoniche e mandolini.

È il giorno della “corte” della dichiarazione e del fidanzamento, con la persona con la quale si può andare a casa a “parlar” sotto lo sguardo vigile dei parenti. La festa continua fino a sera, tra balli e canti sull’erba mescolata alla terra rossa dell’Istria. Al calar del sole si ritorna al molo per il rientro a casa.  Orsera, la piccola cittadina, aspetta con le piccole luci del paese accese che invitano al rientro.

Annamaria, che ha tenuto, ancora oggi un legame con la città, dichiara che l’attuale parroco della cittadina, tenta di ripristinare la tradizione del “merendin istroveneziano”. Una cosa difficile da realizzare, oggi, dopo i tragici eventi avvenuti dal 1943 in poi. Oggi, si parla croato, si cantano e si mangia alla croata, quel tempo, non tornerà più L’unica cosa che ci accomunano è la Malvasia e il Refosco che si coltivano di nuovo dopo decenni durante il quali anche la tradizione della coltivazione della vite era scomparsa».

Questo è il dolce ricordo di San Marco Evangelista e della storia veneziana dell’Istria e di quei meravigliosi merendini incancellabili dalla memoria e dal cuore di quella che all’ora era una “picia“ (bambina) di neppure sei anni”.

didascalia: San Marco – da Santi e Beati

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