Tolkien: una letteratura con l’anima

Il 2 Settembre del 1973, cinquant’anni fa, moriva in Inghilterra John Ronald Tolkien. È trascorso mezzo secolo e questo autore deve essere ormai considerato un vero e proprio classico della letteratura. L’opera di Tolkien ha continuato a conoscere un grande successo di pubblico, incrementato dalle versioni cinematografiche dei suoi libri.

Tolkien va ormai considerato non solo un autore di successo, ma anche come un autentico classico. Egli ha riproposto, in pieno ventesimo secolo, il genere letterario epico, ridando dignità letteraria all’antichissimo genere della narrativa dell’immaginario, nonostante il cinismo di una cultura dominante che doveva fare a meno dei valori, in particolare dell’eroismo.

Il ritorno al Bello e al Vero auspicato dallo scrittore di Oxford venne realizzato da lui attraverso il ricorso e il ritorno al mito, per ridare sanità e santità all’uomo moderno.«Il mito è qualcosa di vivo nel suo insieme e in tutte le sue parti, e che muore prima di poter essere dissezionato», disse Tolkien parlando ai suoi studenti di una delle sue opere preferite, il Beowulf.

Il mito è necessario perché la realtà è molto più grande della razionalità. Il mito è visione, è nostalgia per l’eternità. Il mito è un mezzo per dare risposte a questioni fondamentali come l’origine dell’uomo, il bene, il male, l’amore, la morte e per dare spiegazioni ai fenomeni della natura. Se il mito è il nesso, il legame che l’uomo ha sempre cercato con il senso della vita, esso non può quindi che essere considerato un’espressione naturale ed antichissima del senso religioso che vive nel cuore dell’uomo.

L’opera di Tolkien è messa in correlazione col concetto di “tradizione”. Il termine tradizione deriva dal latino traditio, a sua volta dal verbo tràdere, “consegnare”, “trasmettere”, che può assumere diverse accezioni, fortemente interconnesse.

Da un punto di vista antropologico rappresenta la trasmissione nel tempo, all’interno di una comunità umana, della memoria di eventi sociali o storici, delle usanze, delle ritualità, della mitologia, delle credenze religiose, dei costumi. La tradizione è una dimensione fondamentale della religione: essa è l’insieme di dottrine, riti, liturgie, valori, che costituiscono il patrimonio di una fede religiosa. Tolkien apparteneva con grande intensità spirituale alla tradizione della Chiesa cattolica, e difese con passione questa tradizione quando negli anni ’60 venne radicalmente messa in discussione dai cosiddetti modernisti, o progressisti, seguaci di una ideologia morbosamente attirata da tutto ciò che era “nuovo” e “moderno”.

Dopo che il Concilio Vaticano II ebbe trasformato radicalmente la Santa Messa, Tolkien continuò a difendere e a seguire il Rito Antico. Ma anche in senso culturale fu un difensore di valori tradizionali. Nella visione cristiana di Tolkien, l’uomo è fatto per il bello, per il buono, per il bene.

Tolkien visse la sua adesione alla tradizione in senso dinamico. La tradizione è viva, in movimento. Si adegua alle circostanze e ai tempi ma senza rinunciare ai princìpi fondanti. L’aspetto più evidente nell’opera di Tolkien di questo tradizionalismo dinamico sta nella concezione dell’eroe. Gli eroi del Signore degli Anelli sono piccoli, umili, come gli Hobbit. Oppure sono dei cavalieri, come Aragorn, che non ha le caratteristiche dei rozzi guerrieri antichi, ma dei cavalieri medievali.

Il rifiuto di adorare i falsi idoli, le teste dell’Idra, diventa la scelta più eroica.

Tolkien ci indica la scelta più difficile, la strada più impegnativa, il sentiero più erto, lontano dagli onori del mondo, un cammino tuttavia che i piccoli e i deboli possono fare meglio dei grandi e forti.

John Ronald Reuel Tolkien ci ha lasciato la più bella storia raccontata nel corso del Ventesimo secolo, “Il Signore degli Anelli”, ma non si è limitato a tanto: oltre ad avere inventato una storia, ha raffigurato anche un tempo (le tre antiche ere del mondo) e un luogo: la Terra di Mezzo. In tutto ciò consiste il genio del professore di Oxford: nell’aver saputo dare vita a una nuova grande epopea cavalleresca che tuttavia è inserita in un ancora più complesso e affascinante racconto mitico, a partire da una coerente cosmogonia.

Tolkien possiede addirittura quella che potremmo definire una visione teologica della storia, attraverso la quale giudica, con l’autorevolezza di un filosofo o di un profeta le vicende umane. Tutto ciò emerge anche dalle sue lettere, dove ci rivela quanto il suo profondo, robusto cattolicesimo inglese abbia forgiato la sua opera. Soprattutto fu importante l’influenza di John Henry Newman, recentemente canonizzato, uno dei più grandi pensatori cristiani degli ultimi secoli, era stato, nonostante la mitezza, quasi la fragilità della sua persona, un segno di contraddizione che aveva scosso l’Inghilterra sia cattolica che protestante. Da anglicano aveva dato vita al Movimento di Oxford, teso ad approfondire la ricerca teologica, specie nel campo della Patristica (quando la Chiesa era ancora una e indivisa) e a confrontarsi con le sfide della modernità.

Questa ricerca della verità lo aveva fatto infine approdare al cattolicesimo. Un suo discepolo, padre Francis Morgan, quando divenne il tutore di Tolkien gli trasmise tutto quanto aveva appreso da Newman. Sulla sua tomba il grande convertito aveva voluto che fossero incise queste parole: Ex umbris et imaginibus in veritatem. Andiamo verso la verità passando attraverso ombre e immagini.

Per John Ronald Tolkien, che amò subito appassionatamente la fede cui sua madre lo aveva condotto, l’arte fu per tutta la vita questa ricerca della verità tra quelle ombre, quelle immagini che sono i miti e i simboli.

Allo stesso tempo Tolkien guardò con grande interesse anche ad un altro scrittore cattolico inglese, Gilbert Chesterton, di cui fu lettore, ma che non incontrò mai personalmente (c’era tra i due quasi una generazione di differenza), e sicuramente rimase colpito, come scrive nel suo saggio sulle fiabe, dalla via chestertoniana dell’immaginario, del paradosso, dell’immagine velata, allo scopo di liberarci dai vari orpelli che, nella vita ordinaria, mascherano il volto della verità. In questa intensità epica e spirituale dell’opera di Tolkien sta il segreto della straordinaria attualità di questo autore di narrativa fantastica che si fa veicolo di valori immutabili, profondamente connaturati col cuore dell’uomo, i suoi sogni, le sue speranze. Tolkien, 50 anni dopo, continua ad indicare la strada ad una compagnia sempre in viaggio. (Paolo Gulisano)

Didascalia: John Ronald Tolkien, 1892 -1973 (credit “Avvenire”)

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