L’Iran sfida Stati Uniti e Israele

Generale Giuseppe Morabito – Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation Tra gli interessi principali degli Stati Uniti in Medio Oriente vi sono la garanzia della sicurezza dei suoi alleati, la lotta al terrorismo, la lotta alla proliferazione delle armi e la libertà di movimento delle grandi navi che assicurano le forniture energetiche globali e la connessa navigazione commerciale.

Il programma militare iraniano di veicoli aerei senza equipaggio (UAV) è stato identificato chiaramente quale una minaccia strategica emergente che contrasta il raggiungimento da parte degli Stati Uniti degli interessi di sicurezza regionale menzionati.

A parere di esperti americani parrebbe che a Washington ci si stia preparando a lanciare una campagna di sanzioni contro l’Iran per scoraggiare l’uso di droni e missili guidati, che sono sempre più visti come un “pericolo immediato” per le forse armate USA e i loro alleati in Medio Oriente. L’utilizzo da parte dell’Iran di droni e missili guidati sempre più sofisticati è cresciuto negli ultimi anni. Nel 2019, un attacco missilistico e droni di Teheran ha bloccato metà della produzione di petrolio greggio dell’Arabia Saudita. Di recente sarebbe evidente che l’Arabia Saudita sia stata attaccata decine di volte da forze filo-iraniane nello Yemen e funzionari della difesa israeliani avrebbero dichiarato che l’organizzazione terroristica di Hamas ha utilizzato, durante gli attacchi a Israele dello scorso Maggio, droni a tecnologia iraniana.  

Dalla firma dell’accordo sul nucleare chiamato Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) che doveva assicurare una forma di controllo e la stabilita nell’area, il programma di missili balistici di Teheran ha invece continuato a rappresentare una seria minaccia per gli Stati Uniti, i suoi alleati e i suoi interessi strategici in Medio Oriente. Infatti, l’Iran ha testato più di 30 missili balistici a capacità nucleare dal luglio 2015, nonostante una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, approvata insieme all’accordo nucleare, che invita esplicitamente l’Iran ad astenersi da tale attività. L’Iran non ha mostrato segni di rallentamento dello sviluppo del suo programma di missili balistici, che è inestricabilmente intrecciato con il suo programma nucleare in quanto i missili balistici a lungo raggio sono sempre stati storicamente sviluppati all’unisono con un programma di armi nucleari. La triste realtà è che Teheran ha investito molto nei suoi programmi missilistici e spaziali e sta facendo ogni sforzo per renderli più efficienti e operativi.

L’Iran ha quindi fatto notevoli investimenti nei veicoli aerei senza pilota (UAV) o droni, che offrirebbero a Teheran un altro mezzo di proiezione di potenza al di fuori dei suoi confini. L’Iran fornisce anche sistemi UAV che svolgono due funzioni militari primarie, sorveglianza e attacco anche ai suoi alleati nel Medio Oriente.

E’ palese che l’obiettivo generale della politica estera dell’Iran sia soppiantare gli Stati Uniti per diventare il soggetto militare e politico dominante in Medio Oriente. Quanto precede, anche se è ormai acclarato che l’Iran ha una capacità militare relativa, grandemente superata dagli Stati Uniti e dai suoi partner regionali in termini di spese militari e personale. Gli armamenti convenzionali dell’Iran sono qualitativamente inferiori a causa delle sanzioni e un embargo internazionale che limitano l’accesso e la capacità dell’Iran di acquistare sistemi aggiornati o di stare al passo con le ultime innovazioni tecnologiche in campi come la difesa aerea e missilistica.

E’ indubbio comunque che una nuova possibilità di accesso alla produzione e l’impiego di droni sia aiuterebbe l’Iran a colmare le mancanze nelle capacità di ricognizione aerea sia sarebbe utilizzata dalle forze armate convenzionali iraniane e dal Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC) per applicazioni d’intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR).

 I droni hanno anche uno scopo propagandistico interno ed esterno per il regime iraniano oltre alle loro applicazioni militari. Il loro uso nelle operazioni di combattimento indica che l’Iran è in grado di proiettare forza nella regione utilizzando le ultime tecnologie militari, anche di fronte a un regime di sanzioni internazionali e all’embargo sulle armi.

La scorsa settimana (giovedì), in un attacco a una petroliera di proprietà di un miliardario israeliano sono rimasti uccisi due membri dell’equipaggio. L’attacco è avvenuto al largo dell’Oman nel Mar Arabico e nessuno ha immediatamente rivendicato la responsabilità del raid contro la petroliera che comunque era con bandiera liberiana. Tuttavia, un funzionario americano avrebbe affermato che sembra che nell’attacco sia stato utilizzato un cosiddetto drone suicida, paventando la possibilità che dietro ci fosse un governo o un gruppo di miliziani. Senza fornire prove, funzionari israeliani hanno invece affermato che l’attacco con droni era stato condotto dall’Iran.

L’attacco ha preso di mira la petroliera appena a nord-est dell’isola omanita di Masirah, a oltre 300 chilometri (185 miglia) a sud-est della capitale dell’Oman, Muscat.

La Marina degli Stati Uniti si è portata sul posto dopo l’attacco e ha scortato la petroliera in un porto sicuro.

Il leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha affermato mercoledì (giorno prima dell’attacco alla petroliera) che l’esperienza ha dimostrato che “fidarsi dell’Occidente non funziona” soprattutto mentre la repubblica islamica si prepara a una nuova amministrazione. Khamenei ha anche criticato gli Stati Uniti, che sono indirettamente coinvolti nei colloqui, dell’Iran con le potenze mondiali, per rilanciare un accordo nucleare.  L’accordo del 2015, la firma del presidente moderato uscente Hassan Rouhani, aveva dato all’Iran fiducia e allentato le sanzioni internazionali in cambio di limiti al suo programma nucleare.  Nel 2018 il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, era stato costretto dal mancato rispetto iraniano dell’accordo al ritiro unilaterale dall’accordo stesso e aveva imposto sanzioni punitive.  “Le generazioni future dovrebbero usare questa esperienza”, ha detto Khamenei a Rouhani e ai membri del suo gabinetto. “Durante questo governo è stato chiarito che fidarsi dell’Occidente non funziona”.  Il governo di Rouhani ha tenuto colloqui con le principali potenze a Vienna da aprile per riportare Washington nell’accordo, ma ora sembra improbabile un accordo fino a quando il neo presidente eletto Ebrahim Raisi non prenderà la carica di capo del governo di Teheran all’inizio del prossimo mese.  Raisi è un ultraconservatore ma ha espresso sostegno ai colloqui sul nucleare, sostenendo che l’Iran ha bisogno di porre fine alle sanzioni statunitensi.

Comunque, se la fase dei colloqui post elezioni, inizia con un attacco di droni a una nave nel Golfo Arabico, c’è ‘poco da fidarsi di Teharen.

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