Il pensiero unico del politicamente corretto

Tira brutta aria per la libertà in Italia? Forse dovrei togliere il punto di domanda guardando la realtà. Ha fatto notizia nei giorni scorsi una libraia che ha proclamato con grande enfasi che non avrebbe venduto il libro scritto da Giorgia Meloni.

Meno noto è che lo stesso trattamento è stato riservato al libro-intervista di Roberto Formigoni da parte di librerie del Gruppo Feltrinelli, tra le quali anche quella lecchese: trattamento poi rientrato grazie all’intervento del distributore dei volumi stessi e ai conseguenti vincoli commerciali.

È del tutto evidente che se un libraio non ama un testo basta che lo collochi in un cono d’ombra dei suoi scaffali o lo tenga chiuso nel plico con cui lo ha ricevuto: l’enfasi di dichiarazioni pubbliche serve invece per affermare qualcosa di più importante e grave, cioè la paura del confronto delle idee, l’esclusione di quelle non condivise in nome di ideologie che si ritengono le sole dotate di dignità culturale.

È il clima che prevale tra le élites cosiddette culturali che dominano nelle redazioni dei giornali e dei mezzi radiotelevisivi (ivi compreso il servizio pubblico della Rai), nell’editoria, nella moda e nella cinematografia e nei mezzi di comunicazione in genere e che non perdono occasione per imporre la loro visione del mondo e della politica.

Potremmo definirla una cultura di sinistra, tuttavia molto diversa da quella sinistra storica che abbiamo conosciuto, oggi del tutto residuale, che manteneva un legame con la vita concreta del popolo italiano. Solo così si spiega il sostegno dato a suo tempo dal PCI di Togliatti all’art.7 della Costituzione in cui si riconosce il valore dei Patti Lateranensi nella regolamentazione dei rapporti Stato Chiesa, ma si spiega così anche quel legame morale di fondo che il grosso dell’elettorato comunista in Italia manteneva con la cultura di base del popolo italiano impregnata di cristianesimo.

Scriveva anni fa un acuto pensatore e letterato svizzero, Denis De Rougemont: «Penso che sia vano parlare di problemi politici se non ci si è prima soffermati su qualche idea dell’uomo; e questo perché ogni politica implica una certa idea dell’essere umano e contribuisce a promuovere una qualche idea di umanità (che lo si voglia o no, che piaccia o no)».

È un’affermazione che esprime bene il disorientamento nel quale ci troviamo oggi: quali idee dell’uomo sono in gioco, si confrontano, nella cultura e nella politica? Si dice che siano finite le grandi ideologie, cosa rimane in cambio? Sembra vincente la paradossale affermazione del filosofo Jongen che descrive l’uomo come “esperimento di se stesso”: siamo passati dall’io-sono-mio al self-id, io-sono-quello-che-desidero-essere.

Il paradosso di questa pretesa libertà conquistata affrancandosi da ogni tradizione, cultura religione, sta nel fatto che ha la necessità di negare tutte le altre. È questa, tra l’altro, la logica inaccettabile che è contenuta nel progetto di legge Zan: per affermare una posizione devo mettere sotto accusa tutte quelle che non l’accettano, eliminarle con la forza dalla scena pubblica.

La forza persuasiva di cui dispongono quelle élites è ben documentata dal consenso che il progetto di legge Zan sembra avere nei sondaggi di opinione: un’abile e tambureggiante campagna dei media sottolinea solo la funzione di contrasto all’omofobia cancellando i pericolosi rischi per la libertà di opinioni contrarie.

La rottura di una concezione della persona che viene da lontano e che il cristianesimo ha pienamente valorizzato anche salvandone l’originalità e la non dipendenza da alcun potere, mette in crisi anche la forma dello stato democratico.

Uno stato può dirsi democratico proprio in quanto riconosce che ci sono diritti e valori che non è lui a creare, che sono preesistenti e fondati nella cultura di un popolo, proprio come li riconosce la nostra costituzione.

Il criterio della maggioranza è utile per la regolazione della convivenza tra le persone e dei rapporti con lo Stato, ma non può mai essere strumento per la formazione o l’imposizione di valori. Ci sono principi e valori che non dipendono da nessuna maggioranza parlamentare: i martiri di tutte le resistenze del secolo scorso sono lì a documentarlo.

Qualche segno positivo di risposta a questo clima si inizia a vederlo in Europa: La Gran Bretagna ha vietato il self-id (vale a dire l’autonoma scelta della propria identità sessuale indipendentemente da quella biologica), la Spagna ha bocciato una legge sull’identità di genere (e in Spagna al governo ci sono le sinistre).

Sarebbe buona cosa che tra i cattolici italiani smarriti nella temperie contemporanea, circolasse ampiamente il “Compendio della dottrina sociale della Chiesa” le cui pagine, con le successive aggiunte delle encicliche di Francesco, costituiscono un’importante bussola per orientarsi.

Quello che è in gioco, infatti, non è una questione morale (anche questa) ma soprattutto è in gioco il mantenimento di una democrazia reale, una democrazia in cui tutti possano liberamente esprimersi e liberamente convivere.

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