Apprezziamo tanto i social media da esigerne di più

I social media sono un colossale strumento di business. La loro etica è quella del puro profitto (ma con qualche temibile ripercussione).

Per aumentarlo accettano anche messaggi pubblicitari al confine del lecito, come l’incoraggiamento al gioco d’azzardo o la diffusione del denaro virtuale (cripto valute). Insomma per chi li possiede e gestisce sono il vitello d’oro di biblica memoria.

Del bilancio di Google ben 95,375 miliardi di dollari sono appannaggio della pubblicità. Facebook ha chiuso il primo trimestre di quest’anno con ricavi in aumento del 48 per cento a 26,1 miliardi di dollari. L’utile netto è cresciuto del 94 per cento a 9,4 miliardi di dollari a fronte dei 6,8 miliardi previsti.

«Il balzo dei ricavi», ha spiegato David Wehner, responsabile del settore finanziario, «è legato all’aumento dei prezzi del 30% delle pubblicità». L’advertising su YouTube ha fruttato poco meno di 6 miliardi di euro nei primi tre mesi di quest’anno.

Il titolo di Twitter, da inizio 2021, è cresciuto in Borsa del 20 per cento. Questo social media ha chiuso i primi tre mesi dell’anno con un giro d’affari di 1,04 miliardi di dollari, in aumento del 28 per cento e con un utile netto di 68 milioni di euro.

Per capire di che cosa stiamo parlando basti ricordare che in Italia la raccolta annua del mercato pubblicitario è stimata in 8,2 miliardi di euro.

Chi scrive è stato oggetto di martellanti richieste di denaro da parte di Google con la promessa di aumentare il numero dei contatti e quindi di accrescere la cosiddetta “reputazione”. Il meccanismo è semplice.

Google ti di dice: caro giornalista, tu che scrivi in un giornale online, convinci il tuo editore a spendere qualche euro per promuovere i tuoi articoli (non importa se sono sgrammaticati, poveri d’argomentazioni o insulsi) e noi ti garantiamo di allargare la cerchia dei tuoi lettori perché abbiamo la forza di diffonderli in rete.

In altri termini: più investi soldi su noi e più noi ti garantiamo visibilità. Pensa quanti “mi piace” in più potresti collezionare nella tua homepage se aumentassi la “reputazione” che noi siamo in grado di garantirti in base ai soldini che ci dai.

Già, la “reputazione”; ma chi mi assicura che questa sia frutto di un reale aumento di lettori e non di una dolce carezza all’algoritmo che solo Google controlla? Che non sia frutto di una mistificazione, visto che tutto è nelle mani di chi governa il social?

Grazie alla competenza di Ideatech, la società lecchese guidata dall’ing. Marco Milani che nel 2010 ha realizzato il sito in cui sono appoggiate le testate del nostro Alpi Media Group, siamo in grado di verificare il numero esatto dei nostri contatti e di controllare, quotidianamente, settimanalmente e mensilmente quanti sono i reali lettori di ciascun articolo o banner pubblicato.

Nel nostro piccolo abbiamo tentato di affrancarci dai social media, ma gli enormi interessi economici che governano la raccolta pubblicitaria congiurano per non far crescere l’informazione attraverso i giornali online.

Oltre a fare profitti colossali e a pagare le tasse nei paradisi fiscali (leggi Irlanda e Lussemburgo, alla faccia dell’unità europea) i social media influiscono sulle opinioni pubbliche mondiali arrivando a monitorare (e a manipolare) i dati sensibili di miliardi di persone.

Ricordate come Facebook e Twitter hanno oscurato e censurato l’ex presidente Donald Trump? I social media appartengono a società private che si arrogano il diritto di stabilire chi sia o non sia in linea con le linee editoriali da esse stesse stabilite.

Nel caso dell’ex Presidente statunitense Facebook avrebbe deciso, pochi giorni fa, di ripristinare la sua pagina. Evidentemente si sono resi conto che gli 80 milioni di followers di Trump sono circa il 4 per cento della loro utenza che, se transitasse ad un competitor, costituirebbe pur sempre un vulnus.

Dopo tutto se l’ex Presidente rientrasse all’ovile, Facebook, nell’imminenza delle elezioni del 2024, potrebbe tranquillamente tornare ad oscurarne la pagina. Dei veri dritti fatti ad uncino, come se Trump fosse lo sprovveduto di turno.

La strada imboccata dall’ ex Presidente, quella di lanciare un sito concorrente di Facebook, è quella che altri soggetti dovrebbero seguire.

Perché l’Unione europea non s’è ancora dotata di social che, disciplinati da un’autorità pubblica, garantirebbero meglio i diritti dell’utenza? Perché l’Ue non è ancora riuscita ad imporre un’equa tassazione ai grandi social media statunitensi che lucrano sul traffico generato da milioni di internauti europei?

Urge rompere l’oligopolio dei social media e trasformarlo in un settore regolato da principi democratici. Va ampliato il loro numero per creare una vera concorrenza.

Didascalia: il logo di Telegram, concorrente di WhatsApp (credit pixabay)

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