Generale Giuseppe Morabito – Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation. A Taiwan la notizia del giorno è che l’ormai ex premier cinese Li Keqiang ha perso ogni potere e contemporaneamente il presidente cinese Xi Jinping ha consolidato il controllo sulla Cina Popolare che è , ricordiamolo, la seconda economia più grande del mondo.
Li non è stato incluso nel nuovo Comitato Centrale di 200 membri del Partito Comunista Cinese (PCC), un requisito per entrare a far parte del più potente Comitato Permanente del Politburo Centrale del PCC.
Questo segna la fine del decennio di Li come seconda personalità della Cina e di una lunga carriera che a un certo punto lo ha visto in corsa per guidare il paese, una partita per un ruolo che ha evidentemente perso contro Xi.
Li, 67 anni, aveva annunciato all’inizio di quest’anno che si sarebbe dimesso dalla carica di premier nel marzo del prossimo anno, in linea con il limite di due mandati della posizione, sarebbe comunque stato abbastanza giovane per un ulteriore permanenza nel Comitato permanente del Politburo di sette membri.
XI, 69 anni, ha deciso di rompere con le norme sull’età che regolano il pensionamento alla chiusura della riunione del congresso del partito a Pechino, infrangendo il limite di età di 68 anni
Anche il presidente della Conferenza consultiva politica del popolo cinese Wang Yang, 67 anni, considerato un contendente per il premier, si è ritirato (o è stato fatto ritirare) aprendo la strada ai lealisti di Xi più allineati alle sue direttive.
Li, un economista esperto, ha visto fallire la sua spinta per politiche più liberali in alcuni settori era ostacolata quando Xi che contemporaneamente ha aumentato il suo ruolo di governo sia nel Partito Comunista sia nel processo decisionale.
La reputazione di Li come funzionario relativamente liberale ha preso piede negli anni ’80, quando ha tradotto lavori in inglese sul diritto costituzionale da un giudice britannico. In seguito, ha studiato per un dottorato in economia sotto uno dei principali sostenitori della riforma del mercato cinese.
Li ha creato una piattaforma politica basata sul taglio della burocrazia e delle tasse sulle imprese. Ha anche chiesto che la crescita della città sia collegata alla fornitura di occupazione e servizi pubblici.
Tuttavia, la valenza di Li è diminuita una volta che Xi ha trasferito le decisioni chiave di politica economica a una serie di comitati di partito guidati da lui e dal suo fidato aiutante economico, il vicepremier cinese Liu He.
La politica di blocco “zero Covid” della Cina Popolare ha poi alimentato la divergenza politica tra Xi e Li.
Nel frattempo, il congresso si è concluso ieri e ha posto fine a una settimana di incontri in gran parte improntati ad approvare un rimpasto della sua leadership.
Con una mossa inaspettata a un evento così pesantemente coreografato, l’ex presidente cinese Hu Jintao ( 79 anni) è stato portato fuori dalla cerimonia di chiusura. Sembrava riluttante a lasciare la prima fila dove era seduto accanto a Xi.
Dopo uno scambio di circa un minuto, in cui Hu ha parlato brevemente con Xi, Hu è stato condotto forzosamente fuori dalla sala. Ricordo che Hu è stato uno dei maggiori sostenitori di Li. In pratica e’ stata una epurazione di tre avversari politici i poche ore.
Il nuovo Comitato Centrale di circa 200 alti funzionari del PCC è stato quindi eletto . La sicurezza di Pechino è stata anche al centro del congresso, in cui Xi ha elogiato la transizione di Hong Kong dal “caos al governo” e ha promesso di “non impegnarsi mai ad abbandonare l’uso della forza” per impadronirsi di Taiwan”. Dire che si tratta prima di una burla e poi di una minaccia è evidente!
Il Congresso doveva consolidare ulteriormente la posizione di Xi come leader più potente della Cina Popolare dai tempi di Mao Zedong e , infatti è stato riconfermato per un terzo mandato al potere. Questo riconferma l’assenza assoluta di democrazia nel governo comunista cinese.
Per alcuni analisti dell’ Indo Pacifico è ormai chiaro che il potere di Xi sarà simile a quello di un dittatore e non ci sarà quasi alcun margine per nessuno di consigliargli di tentare di correggere la le eventuali decisioni errate.
A Taipei, capitale della Repubblica di Cina – Taiwan, la situazione, a prima vista, è assolutamente tranquilla e non trapela immediata preoccupazione per gli eventi di Pechino.
Girando per la città, balza all’occhio il fatto che le regole per contenere il ”Virus di Wuhan” sono implementate in tutto il paese in modo importante. Il CV 19 è stato contenuto dai taiwanesi in modo encomiabile ma il governo continua a mantenere una vigile allerta e tutti, ma proprio tutti, i taiwanesi vestono la mascherina in ogni dove.
C’è la ragionevole preoccupazione che una nuova ondata della pandemia proveniente dalla Cina Popolare, come la precedente, crei problemi alla società e all’economia dell’isola.
Da incontri con funzionari del Governo e della Difesa si intuisce rapidamente che se si entra nel merito all’aggressione russa in Ucraina, la stessa rimane fortemente al centro dell’attenzione sia degli organi governativi sia dell’opinione pubblica taiwanesi.
Pur essendoci numerose differenze, è difficile, a Taipei, non guardare con particolare preoccupazione a cosa avviene in Europa, atteso che Taiwan convive da decenni con un vicino più grande che minaccia una riunificazione forzata senza escludere la soluzione militare. Fin dal 24 febbraio ho scritto e sottolineato che le due situazioni sono comunque diverse, ma ci sono sentimenti profondi che forse chi non è mai stato a Taiwan fa fatica a comprendere.
La Presidente taiwanese, Tsai Ing-wen, una donna decisa e amatissima dal suo popolo (è stata rieletta come Presidente per un secondo mandato e la incontrerò questa settimana) ha parlato di “empatia per l’Ucraina” e istituito un gruppo di lavoro per analizzare gli effetti del conflitto perché lo stesso è importante per il suo paese.
didascalia: foto di David Yu da Pixabay