Giulio Tarro: la gestione della pandemia è stata un disastro

Il professor Giulio Filippo Giacomo Tarro, 83 anni, è un medico ricercatore. Nel 1973, quando a Napoli scoppia l’epidemia di colera, ne scopre la causa isolando il virus respiratorio sinciziale nei bambini affetti da bronchiolite. Originario di Messina, a 24 anni, nel 1962, si laurea in Medicina e Chirurgia. Primario emerito dell’Ospedale “D. Cotugno”di Napoli è stato allievo di Sabin (il virologo a cui si deve il vaccino contro la poliomielite) e poi due volte candidato al Nobel per la Medicina. Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e del National Cancer Institute (USA) a Frederick, Maryland, è stato antesignano della diagnosi e della terapia immunologica dei tumori, coordinatore dell’ipertermia extracorporea in pazienti con epatite C per il First Circle Medicine di Minneapolis. Attualmente è anche Presidente a vita della Fondazione de Beaumont Bonelli per le ricerche sul cancro. Il professor Tarro, in questi ultimi due anni di pandemia, è stato ripetutamente attaccato per le sue teorie sul Coronavirus. Lo abbiamo avvicinato perché rispondesse ad alcune curiosità (e preoccupazioni) raccolte da più d’uno dei nostri lettori.

Gli errori commessi dal Governo nel corso della pandemia sono stati frutto di inesperienza (in parte comprensibile, soprattutto nella prima fase) o incompetenza?

La gestione italiana dell’epidemia da coronavirus da parte del Comitato tecnico scientifico (CTS) è stata un fallimento, secondo un editoriale della prestigiosa rivista inglese “Nature” come riportato nella prima decade di Marzo 2021.

Nel Comitato non era presente alcun virologo e la maggior parte dei 24 “esperti” sono stati nominati ad personam, senza alcuna competenza nel campo dell’infezione virale. Inoltre il CTS, con poca o nessuna esperienza, ha affermato a Gennaio 2021 che mantenere gli studenti nell’apprendimento a distanza avrebbe causato loro un grave impatto sul piano psicologico e su quello della personalità.

Tale dichiarazione ha avuto conseguenti politiche nazionali pur non avendo alcun membro esperienza nel campo della istruzione, della psicologia infantile o della neuropsichiatria.

Secondo uno studio pubblicato su “Science” da parte della Emory University di Atlanta, il coronavirus assumerà un carattere endemico e la sua letalità, cioè mortalità dei contagiati, finirà per attestarsi intorno allo 0,1% al di sotto dell’influenza stagionale. Pertanto il forte distanziamento sociale non è la soluzione, così come lockdown, mascherine, chiusure, caccia al contagiato, colpevolizzazione della gente… Si pretende di perseverare con questa gestione dell’emergenza nell’illusione di fermare un virus ormai endemico, asintomatico nel 90-95% dei casi, e che potrebbe essere efficacemente affrontato, anche quando colpisce gli anziani, con tempestive cure.

Abbiamo nel 90 – 95% dei casi, asintomatici positivi. E gli asintomatici positivi non sono contagiosi. Da sempre. Chi non ha i sintomi, chi non è malato, non può contagiare. Lo ha detto anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Quindi non ha senso chiudere tutti in casa. Chi si ammala va curato, semplicemente. Come ho fatto personalmente io seguendo i dettami di Didier Raoult (medico e microbiologo specializzato in malattie infettive), per le persone che si sono rivolte a me. Come fanno centinaia di medici usando idrossiclorochina, azitromicina e guarendo le persone a casa. Ad esempio, al Centro e al Sud sono morti in misura molto minore perché hanno utilizzato subito cortisone ed eparina e hanno evitato le trombo-embolie.

Crede che i dubbi degli italiani non vaccinati nei confronti dei vaccini mRNa siamo legittimi?

Come abbiamo visto, vaccinare consiste nell’inoculare in un soggetto sano quantità attenuate dell’agente patogeno (o parti di questo), in modo da suscitare nell’organismo una reazione immunitaria capace di proteggerlo. Oltre a questo beneficio ve ne è un altro altrettanto importante: la vaccinazione individuale riduce il numero dei soggetti che possono trasmettere l’infezione, perché chi si vaccina non solo non si ammala, ma non è in grado di trasmettere l’infezione. Si può raggiungere, quindi, quella che è stata definita “’immunità di gregge” (“herd immunity”), la quale finisce con il fornire una tutela anche ai soggetti che non sono stati vaccinati. Una qualsiasi vaccinazione, per poter proteggere una comunità, deve interessare una grande percentuale degli individui che la compongono; in taluni casi il vaccino può anche provocare gravi effetti sulla salute delle persone sottoposte alla vaccinazione, ma col tempo i progressi fatti nella preparazione dei vaccini tradizionali hanno ridotto di molto i rischi. Nessun dubbio quindi sull’utilità e l’efficacia dei vaccini.

Ma cosa è precisamente un vaccino? Il vaccino viene definito come “mezzo biologico di difesa antinfettivo adoperato per stimolare le reazioni immunitarie verso infezioni batteriche o virali”. Questa è una delle definizioni più diffuse. Il meccanismo mediante cui agisce il vaccino è dunque quello di stimolare la produzione degli anticorpi specifici per se stesso, in modo da neutralizzare l’effetto biologico, cioè il contagio e l’effetto patologico, sull’organismo ospite.

Ci sono diversi tipi di vaccini, per la verità, forse anche troppi. Ma una differenza ci pare oggi fondamentale. Alcuni utilizzano virus, altri no. I vaccini più tradizionali sono quelli cinesi e indiani, a virus disattivato, ma anche il vaccino prodotto dai russi utilizza un adenovirus come vettore contenente le istruzioni per produrre la glicoproteina “spike” che permette al virus di legarsi alle cellule umane, che utilizzerà successivamente come fotocopiatrici per creare nuove copie di se stesso. Il nostro sistema immunitario impara a riconoscere la proteina del virus “ibrido” e meno aggressivo, conservando la memoria dell’agente incontrato.

Ma come funzionano i “vaccini” di Pfizer e Moderna che vengono impiegati anche in Italia? La tecnica di iniettare non un virus ma frammenti di RNA messaggero (mRNA) consiste nell’utilizzare una molecola speculare all’RNA del virus per la produzione delle proteine costituendi la particella virale che ha il fine di indurre la glicoproteina “spike” del coronavirus, la quale viene usata per i recettori Ace2 delle cellule bersaglio al fine di produrre questi antigeni nelle nostre cellule mediante l’informazione dell’mRNA. Viene quindi stimolata la produzione di anticorpi specifici come le immunoglobuline nei riguardi di questi antigeni specifici virali per stabilire l’immunità del soggetto vaccinato. Si tratta dunque di una nuova terapia genica, mai utilizzata prima d’ora, basata sull’uso di molecola che contiene le istruzioni per la sintesi nell’organismo umano di nuove proteine, le quali dovrebbero permettere di resistere meglio all’attacco dello stesso virus.

Questa nuova tecnica può essere considerata compatibile con la definizione di vaccino entrata da tempo nell’uso? Insomma, stanno vaccinando, o stanno sperimentando su vastissima scala un nuovo farmaco? La nuova tecnica può essere considerata compatibile con la definizione di vaccino come “mezzo biologico”, mentre qui si tratta di un nuovo farmaco basato su frammenti di una molecola speculare all’acido nucleico? Sono domande lecite e non si dica che la “scienza” abbia già fornito le risposte, perché la “vera” sperimentazione di questo nuovo farmaco è cominciata con le vaccinazioni. E solo tra diversi anni, forse, sapremo che effetti ha prodotto.

Non è vero, si obbietta, ci sono stati i trial clinici che hanno consentito l’approvazione del farmaco. Ci sarebbe molto da dire al riguardo, ad esempio che essi non includevano pazienti con malattie acute o instabili e pochi erano i soggetti volontari over ottanta. Inoltre la produzione del vaccino genico è iniziata – a quanto pare – ben prima dei risultati dei trial. Infine, il dottor Peter Doshi, scienziato dell’Università del Maryland, il 4 Gennaio 2021 ha pubblicato sul “British Medical Journal”, come anche riportato dal “New York Times”, uno studio sui vaccini della Pfizer e Moderna che tra l’altro riporta l’efficacia dal 19 al 29% e non al 95% come affermato dai produttori. Insomma, persino sull’efficacia sono stati avanzati dubbi.

Ma il problema più grande – a nostro avviso – riguarda la sicurezza di questi “vaccini”.

Chi può oggi escludere che questi “vaccini” non possano indurre una risposta infiammatoria non specifica nei riguardi dell’mRNA che aumenta la risposta specifica ed immune? Sappiamo che nel caso di un’infezione virale che infetta i linfociti, produttori degli anticorpi, vengono sintetizzate nuove proteine umane chiamate fattori di trascrizione. In altre parole, alcune regioni del genoma del virus si legano al genoma delle cellule umane. Questa unione virale con i fattori di trascrizione umana modifica l’espressione dei geni virali vicini. Si è visto di recente che viene messo in opera un meccanismo di attivazione di alcuni geni umani associati che predispongono al rischio di malattie autoimmuni, come il lupus, la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, le malattie infiammatorie intestinali, il diabete di tipo 1, l’artrite idiopatica giovanile e la malattia celiaca.

Inoltre, nei soggetti in età fertile l’RNA messaggero potrebbe indurre modifiche sugli spermatogoni o sugli ovuli, con prospettive di alterazioni genetiche nei feti che solo il tempo potrà essere in grado di escludere.

Non è forse questa la ragione per cui questo tipo di vaccino viene sconsigliato alle donne incinte, come pure viene sconsigliata la gravidanza fino a due mesi dopo la sua inoculazione?

Ma allora perché non sconsigliare questo farmaco non solo alle donne incinte ma anche ai soggetti in età fertile? Tutti questi quesiti trovano risposta nel bugiardino che accompagna i vaccini.

Perché non ci si è concentrati sulle cure attraverso terapie, che tra l’altro si sono pure dimostrate efficaci, e si è invece puntato tutto sulle vaccinazioni di massa con prodotti sperimentali?

La Food and Drug Administration (FDA) ha concesso l’autorizzazione all’uso di emergenza di diversi anticorpi monoclonali che praticamente sostituiscono la sieroterapia utilizzata con il plasma dei soggetti guariti.

Come per tutti i farmaci anche l’idrossiclorochina comporta, oltre a benefici, dei rischi. Ma sarebbe bastato analizzare lo stato clinico dei 65mila italiani affetti da artrite reumatoide e lupus (tutti inseriti in un Registro nazionale con codice Icd9 714) che ogni giorno assumono idrossiclorochina per accertarsi del bassissimo rischio di questo farmaco.

Finalmente gli antivirali come il “Remdesivir” hanno trovato spazio, anche se non vi è stata la determinazione dell’uso del diossido di cloro nel trattamento antivirale come nel centro sud America.

L’effetto della “Ivermectina” è stato riconosciuto come efficace nella risoluzione dei sintomi tra gli adulti con malattia mite, come il farmaco trovato dagli israeliani contro il Covid che, alle prime risultanze, si dichiara efficace oltre il 90%. Lo scrive la stampa israeliana. L’Ichilov Medical Center di Tel Aviv ha completato con successo gli studi del progetto di ricerca su questo nuovo medicinale, che sta dando risposte molto incoraggianti.

L’agenzia regolatoria del farmaco britannica (Mhra) ha approvato, in anticipo su chiunque altro in Europa, il “Molnupiravir”, prima pillola indicata per il trattamento del Covid ad essere registrata.

La medicina, realizzata e illustrata nelle settimane scorse dal colosso americano Merck Sharp & Dohme in partnership con Ridgeback Biotherapeutics, potrà essere prescritta a chiunque sia testato positivo al Covid e abbia almeno un fattore di rischio legato a un possibile contagio grave come l’obesità, una cardiopatia, il diabete o in genere un’età superiore ai 60 anni.

Per la Mhra, il “Molnupiravir” è un farmaco “sicuro ed efficace”, in grado di ridurre il pericolo di ricovero in ospedale per persone colpite da forme anche moderate di Covid-19 che abbiano parallelamente condizione di rischio extra.

Anche la casa farmaceutica americana Pfizer, che produce il vaccino anti-COVID più richiesto, ha saggiato un farmaco da assumere per via orale, un inibitore delle proteasi, approvato dalla FDA.

Ad annunciarlo in una nota è la stessa casa farmaceutica americana, la quale ha chiarito che «il candidato clinico è un antivirale orale (PF-07321332), un inibitore della proteasi SARS-CoV2-3CL, che ha dimostrato una potente attività antivirale in vitro contro SARS-CoV-2, nonché attività contro altri coronavirus, suggerendo un potenziale utilizzo nel trattamento di COVID-19 e potenziale utilizzo per affrontare future minacce di coronavirus». (Paxlovid).

I vaccini, per esplicita ammissione degli stessi produttori, sono ancora in via sperimentale. Lei avrebbe agito come il Ministero della Salute imponendo, soprattutto agli over 50 l’iniezione obbligatoria, o preso altre misure?

Ci troviamo di fronte ad un’influenza tipica della stagione invernale, identica a tante altre che abbiamo conosciuto in passato. L’unica differenza sta nel fatto che non si tratta di un virus influenzale, ma del covid; questo però non giustifica il terrore mediatico che si è diffuso. Per altro è ormai assodato che per certi tipi di influenze da covid basta ricorrere alle terapie antivirali per via orale.

La variante che sta circolando oggi è la stessa che circolava in Africa quando da noi era estate, senza conseguenze gravi. Sono stati gli stessi africani a smentire gli allarmismi occidentali, dicendo che si stava esagerando nel dipingere la variante sudafricana come pericolosa. L’efficacia dei vaccini nei riguardi del COVID-19 si è ridotta dopo che la variante delta è diventata predominante. L’efficacia dei vaccinati sopra i 65 anni di età con RNA messaggero si è mantenuta alta nel senso di una loro protezione nei riguardi del ricovero ospedaliero (New England Journal of Medicine 13-1-2022, Eli Rosenberg et al). Nuove varianti sembrano evitare la risposta immune e mostrano segnale di diffondersi con maggiore rapidità. Alcuni dati sembrano indicare che la nuova variante omicron possa essere più mite, ma lo stesso porterà ad una pletora di ricoveri ospedalieri.

L’infezione da betacoronavirus induce un’immunità forte e duratura dei linfociti T rispetto alle proteine strutturali e le cellule T CD4 e CD8 sono state riconosciute in tutti i convalescenti che hanno riconosciuto più regioni della proteina del nucleocapside (NP). Ventitre pazienti guariti dalla prima SARS, 17 anni dopo l’epidemia, hanno ancora una memoria di lunga durata dei linfociti T e mostrano una reazione crociata verso l’NP della corrente SARS.

ll non vaccinato non corre rischi se mantiene un normale profilo igienico. Il vaccinato con vaccini a RNA messaggero può essere veicolo di contagio finché produce i primi anticorpi dal momento che potrebbe essere già infetto da qualcuno dei 4 coronavirus umani benigni e quindi replicare il vaccino ricevuto prima di produrre gli anticorpi specifici che gli permetteranno di renderlo immune al Covid-19 fino alla durata di almeno dodici mesi dalla prima somministrazione. Nel caso di vaccinazione con vaccino vettore di adenovirus e del gene portatore della proteina spike, nessun pericolo per il convivente non vaccinato.

Dal momento che i giovani hanno una loro risposta immunologica nei riguardi di questa epidemia da COVID-19, è sufficiente non creare la “tempesta delle interleuchine” degli adulti ed anziani, nei riguardi dello stesso agente.

Pertanto la loro vaccinazione è pressoché inutile anche perché stanno giungendo recenti studi americani che riguardano la possibilità di miocarditi o addirittura di sindrome di Kawasaki.

Che cosa pensa del green pass e perché l’obbligo vaccinale è stato imposto ai lavoratori over 50?

L’obbligo vaccinale non ha grande senso se paragonato all’impegno dimostrato in Inghilterra dove sono stati favoriti (dall’8 Dicembre 2020) gli anziani sopra gli 80anni ed i cosiddetti soggetti “fragili”.

E ciò con enorme successo della popolazione vaccinata, non soltanto con i nuovi vaccini a RNA messaggero, ma anche con i vaccini vettori con adenovirus tipo AstraZeneca che è l’unica multinazionale ad avere pubblicato i dati clinici di fase tre su una rivista scientifica come “Lancet”.

Il vero “vantaggio” dei vaccini a terapia genica rispetto a quelli “classici”, non è sanitario, bensì di business.

Non manipolando virus o microrganismi patogeni, ma solo mRNA da inserire in un “contenitore” standard, gli impianti per la produzione di questi vaccini, non necessitando di costose misure di bio-contenimento e bio-protezione sono molto più economici di quelli finora usati per i “classici” vaccini ma, soprattutto, ben si prestano a riconvertirsi per produrre rapidamente qualsiasi tipo di vaccino.

Ad esempio per fronteggiare le “varianti” del virus Sars-Cov-2, basta cambiare la sequenza contenuta nel mRNA e il nuovo vaccino è pronto.

I vaccini sinora in commercio li ritiene tutti validi? Il proteico ultimo nato – che dicono abbia riscosso poco successo – lo crede un mezzo in più ed efficace rispetto agli mRNA nel combattere il covid?

Il nuovo vaccino è rappresentato dalla somministrazione di proteine ricombinanti per la produzione della spike ed adiuvanti da parte della Novavax (USA). Se n’è sta già occupata l’EMA e quindi è passato all’AIFA per la sua distribuzione.

Ancora è stato approvato il Valneva che presumibilmente sarà in distribuzione a Maggio. È costituito da un vaccino antiCOVID-19 con virus inattivato da somministrare in due dosi a distanza di 4 settimane e rinforzato da due adiuvanti costituiti da un sale di alluminio e da un DNA sintetico di 22 nucleotidi già utilizzato per la vaccinazione dell’epatite B. La casa produttrice si trova in Francia, il brevetto è americano ed in precedenza la stessa industria ha prodotto un vaccino per l’encefalite giapponese. Sono descritti solo dei sintomi locali all’iniezione intramuscolare (dolore, rossore e gonfiore) e sintomi generali come febbre, cefalea, dolori muscolari e articolari, astenia, nausea, malessere generale, meno dell’1% effetti avversi gravi.

Che opinione ha dei medici che hanno rifiutato di vaccinarsi? Gli Ordini hanno agito a tutela dei pazienti e dei propri iscritti o hanno seguito le direttive ministeriali senza obiezioni?

Mi sono vaccinato in quanto medico ho chiesto un vaccino a vettore in un’unica somministrazione, il Johnson & Johnson, non ha quindi niente a che vedere con quelli a RNA messaggero. Il richiamo l’ho fatto con mezza dose di Moderna, ma ormai avevo già gli anticorpi neutralizzanti una infezione naturale o indotta dai vaccini a mRNA.

Lei avrebbe creato il medico vaccinatore? All’estero esiste una simile figura? Avere incentivato il suo ruolo con contributi in denaro non appare un’operazione equivoca?

Il medico vaccinatore non ha senso in quanto qualsiasi laureato in medicina iscritto all’ordine è in grado di farlo, come nei Paesi anglosassoni i medici sono in grado di svolgere tutte le pratiche mediche e chirurgiche richieste per svolgere la loro professione. Ovviamente l’incentivazione del ruolo del medico vaccinatore con contributi in denaro è una operazione che non ha niente a che vedere con la sua professione.

(Prof. Giulio Filippo Giacomo Tarro)

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