Giornalisti politicamente corretti alfieri delle toghe rosse

Maurizio Belpietro, direttore de “La Verità” , ha ragione da vendere quando domanda ai giornalisti perché non si chiedono come mai molti quotidiani abbiano perso lettori, mentre il suo, questo lo aggiungiamo noi, ne conquista giorno dopo giorno. La ragione è semplice: molti italiani si sono stancati di essere presi in giro constatando che telegiornali, radiogiornali e “grande stampa” offrono le medesime notizie con articoli che sembrano fotocopiati e con analisi mirate unicamente a sostenere il governo.

C’è poco da gridare ai quattro venti che i giornalisti sono “i cani da guardia della democrazia” quando vengono minimizzate o addirittura celate al pubblico notizie di enorme gravità come l’ingerenza di una parte della Magistratura nell’Esecutivo per modificarne l’orientamento.

Alcuni esponenti di una corrente del sindacato dei magistrati, marcatamente di sinistra, hanno teorizzato che fosse loro compito precipuo intervenire sul Governo per correggerlo in modo da costruire quel modello sociale e politico da essi ritenuto ideale.

Ora le prove sono emerse e la stragrande maggioranza degli opinion leader e dei maestri di pensiero che collaboravano, attraverso i loro giornali, a far prevalere l’impostazione ideologica di quei magistrati sono in grande imbarazzo. È frustrante dover ammettere errori e connivenze con persone che invece di amministrare la giustizia ne abusavano per interesse personale.

Opportuno quindi minimizzare e depistare l’opinione pubblica su altro, magari ripetere ossessivamente ciò che accade all’estero (disordini per problemi razziali negli Stati Uniti), o sproloquiare sulla data della ripresa del calcio o, perché no?, arrivare a dare ancora voce al ministro della Giustizia, Bonafede, dopo tutto quello che ha combinato, perché possa accusare Salvini di avergli impedito di presentare il suo progetto di riforma della Giustizia.

I leghisti hanno chiuso l’esperienza di Governo con i Cinque Stelle perché questi non decidevano nulla e adesso la grande stampa, dando voce al Ministro Bonafede, ci spiega che è colpa dell’ex titolare dell’Interno se il Guardasigilli non ha potuto procedere con la sua riforma della Giustizia. Siamo alla paranoia, più che al ridicolo.

Eh no, cari colleghi, qui c’è un deficit d’informazione che è colpa di chi materialmente fa i giornali perché, non prendiamoci in giro, quando il lettore va all’edicola e compra un giornale si becca quello che noi giornalisti gli abbiamo rifilato.

Quante notizie gli “uomini macchina”, i capiredattori, eliminano o scelgono di “piazzare nelle pagine interne, magari in un “piedino” su due colonne, quotidianamente? Quante autocensure anche chi scrive un articolo s’impone e non sempre per compiacere il direttore o l’editore?

Prima di riempirci la bocca con slogan tipo, “siamo la coscienza critica del Paese”, “i nostri giornali sono il sale della democrazia”, “siamo gli alfieri del diritto dei cittadini a una informazione obiettiva, indipendente, plurale”, dobbiamo onestamente riconoscere che, spesso con leggerezza, usiamo con discrezione quella funzione pedagogica che comunque anche il giornalismo esercita sui lettori.

Quando troppo a lungo le opinioni prevalgono sui fatti, i lettori se ne accorgono e si ribellano. L’insistita pubblicità sulle reti Mediaset – condivisa da tutti i network televisivi, Rai compresa –, che invita a fidarsi del giornalismo di qualità, è il primo chiaro campanello d’allarme dei grandi Gruppi d’informazione preoccupati del vistoso calo di copie vendute e di utenti di telegiornali a fronte del crescente numero di persone che s’informa attraverso i giornali online.

I proprietari dei giornali, sono disposti a coprirne i debiti, entro certi limiti ovviamente, per usarli come strumenti di pressione sui vari Governi a tutela dei propri interessi, che spesso sono di natura prevalentemente economica.

Purtroppo nel nostro Paese sono quasi scomparsi gli editori puri. Così la famiglia Agnelli, che possiede tre importati quotidiani come “La Repubblica”, “La Stampa” e il “Secolo XIX”, ha soprattutto nell’industria automobilistica il proprio interesse; allo stesso modo Caltagirone Editore, proprietario de “Il Gazzettino, “Il Mattino” , “Il Messaggero” ed altro, ha interessi nell’edilizia e nel settore immobiliare; Carlo De Benedetti, che si appresta a pubblicare un nuovo quotidiano, continua ad avere il proprio core business in settori come quelli della sanità e dei componenti di auto.

Paradossalmente quindi si restringe molto il campo di chi è interessato a fare informazione di qualità perché solo con questa può stare sul mercato.  Ma c’è di più:  fornendo notizie certe e utili si aumenta il potere negoziale del cittadino/lettore/elettore nei confronti di tutti quei poteri che lo tiranneggiano, a cominciare, per esempio,  da un apparato pubblico sempre più invasivo e abituato a trincerarsi dietro un’asfissiante burocrazia.

Non è quindi un caso se, in questo momento, le testate che acquistano lettori sono quelle che danno notizie fuori dal coro, come non è casuale l’incremento di coloro che sempre più leggono i giornali online.

Alcuni di questi sono vere e proprie schegge incontrollabili dalle grandi centrali che governano la comunicazione. Rappresentano quindi un pericolo per coloro che, in regime di oligopolio, hanno sempre governato i flussi informativi attraverso i quali costruire il consenso politico.

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