Una medicina che penalizza le donne

Silvio Garattini, Rita Banzi ed altri esperti nel libro “Una medicina che penalizza le donne” editore San Paolo, parlano dei limiti di una medicina al maschile riferendosi sia alla ricerca farmacologica sia ai protocolli di cura offrendo al contempo possibili soluzioni.

In sostanza il libro mette in evidenza come il genere femminile sia penalizzato nella ricerca scientifica e nella pratica medica. Nell’attività accademica sono molteplici le difficoltà incontrate dalle donne e non solo in Italia; un esempio viene dal Regno Unito dove le donne che insegnano in ambito universitario sono il 45,5 per cento del totale.

In Italia su un totale di 87 rettorati solo sei sono affidate a donne. Ciò vale anche per i finanziamenti dove prevalgono i maschi per il 61 per cento; in ambito clinico le donne medico sono il 44 per cento mentre prevalgono tra gli infermieri per l’89 per cento.

In alcuni ambiti specialistici quali ortopedia e neurochirurgia permane il pregiudizio come se dovessero essere di esclusivo appannaggio maschile. A ciò si aggiunge il muro della maternità che penalizza le donne obbligandole spesso a scegliere tra attività di ricerca e assistenza.

Un fattore spesso ignorato è la povertà presente nella popolazione italiana che si associa ad una scarsa scolarizzazione ed anche in questo caso gli effetti negativi incidono più sulle femmine che sui maschi.

Esiste una scarsa conoscenza della differenza tra sesso e genere; per sesso si intendono l’insieme delle differenze anatomiche, biologiche, fisiologiche e genetiche caratterizzate queste ultime dalle differenze cromosomiche tra maschi e femmine.

Per genere si intende l’insieme dei caratteri relazionali che le persone o la società attribuiscono a donne e uomini. 

Inoltre sia nella ricerca come nella pratica clinica è scarsa l’attenzione posta nei confronti di malattie di genere in particolare se sono patologie proprie di maschi e femmine.

Una delle penalizzazioni maggiori riguarda la terapia medica con riferimento ai farmaci perciò che riguarda dosaggio, efficacia e tossicità e ciò vale sia in ambito sperimentale sia in quello clinico.

Ciò che viene descritto nel libro pone numerose domande su come le donne sono considerate in medicina.

Le malattie presenti in entrambi i sessi differiscono per incidenza, decorso, gravità e letalità. 

E’ come se le conoscenze e le terapie proprie degli uomini devono essere comunque ritenute corrette anche per le donne. 

E’ evidente, quindi, che ogni farmaco ed ogni procedura clinica per malattie presenti in entrambi i sessi devono essere testate su linee cellulari differenti già dalla fase preclinica, quindi su linee cellulari maschili e femminili per valutarne farmacocinetica, tossicità, cancerogenicità.

Se esistono differenze tra maschi e femmine nel decorso e nell’esito di una malattia i protocolli devono essere diversificati dalla fase preclinica; quindi i comitati Etici devono approvare protocolli distinti tra maschi e femmine.

Le differenze tra uomini e donne devono essere utilizzate per ottenere i migliori trattamenti terapeutici per maschi e femmine con lo scopo di creare una cultura di genere nella pratica medica.

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