Lo stato dell’arte della Dottrina sociale e politica cattolica nel libro di Stefano Fontana

Da qualche giorno è uscito il libro di Stefano Fontana “La Dottrina politica cattolica. Il quadro completo passo dopo passo” (Fede & Cultura, Verona, pp. 258, euro 16,00). Invitiamo tutti gli Amici dell’Osservatorio ad acquistarlo non solo per sé ma anche per diffonderlo con le finalità della buona stampa. Il libro è infatti a carattere popolare, è costruito per brevi domande e risposte, e presenta in modo semplice tutto il quadro della visione cattolica della vita sociale e politica. Si ringrazia Silvio Brachetta per questa intelligente recensione.

La Dottrina politica cattolica, che qua Stefano Fontana presenta in sintesi, è una tra le espressioni con cui si indica la Dottrina sociale della Chiesa. Sociale e politico hanno una stessa radice, che esprime l’unione (societas) tra gli abitanti della città (polis). In questo senso, la politica è semplicemente la scienza o la dottrina della società umana.

Per capire meglio il contenuto di questo libro è bene però dare un’occhiata anche al sottotitolo: Il quadro completo passo dopo passo. È un quadro, cioè un’esposizione generale della Dottrina politica cattolica. È completo, nel senso che non tratta di un qualche argomento particolare, ma li tratta brevemente tutti. Quel «passo dopo passo» si riferisce allo stile e significa «domanda dopo domanda»: Fontana ha scelto, nel testo, il genere letterario della domanda-risposta che, rispetto alla trattazione o al saggio, è di più facile lettura – almeno rispetto a temi così complessi. O meglio, come scrive, egli adopera la «socratica brachilogia», che consiste in «micro-domande» e «micro-risposte».

Dalla natura della DSC (Dottrina politica o sociale della Chiesa), Fontana passa a spiegarne l’origine e i principi, per poi approdare ai singoli ambiti delle realtà sociali: politica, famiglia, lavoro, educazione e altri. Alcune domande e relative risposte catturano immediatamente l’interesse del lettore e fanno nascere il desiderio d’approfondire. Ne riporto qualche esempio.

[Domanda] «Il metodo della DSC può essere riassunto in “vedere, giudicare, agire”?» [Risposta] «Questa espressione è problematica, perché contiene il pericolo di affidare il momento del vedere alle scienze empiriche, di cadere in una specie di positivismo conoscitivo, infine perché può far pensare che prima si parte dalla situazione e poi si assumono i criteri di giudizio, il che comporta un relativismo storicistico ed esistenzialistico» (p. 17).

Di per sé, il porsi davanti alle situazioni storiche con l’atteggiamento di «vedere, giudicare, agire» è di origine biblica e corrisponde al mistero di Dio: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti […]. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto […]» (Es 3, 7-8). L’uomo può e deve imitare Dio, ma solo a certe condizioni. La prima condizione è che l’uomo veda le cose o le situazioni secondo verità – Platone direbbe secondo il nous (intellezione) e non secondo la semplice dianoia (conoscenza scientifica): ciò non è scontato senza l’umiltà e la grazia.

Subito dopo averla vista, l’uomo deve discernere la situazione con giusto giudizio – non però mediante il discernimento in senso moderno, che è molto spesso un discutere verboso e un processo che non approda ad alcuna conclusione. Infine l’uomo non può agire bene, se prima aveva visto male e giudicato peggio: ne verrebbe fuori un caos.

Fontana pensa che la situazione, di per sé, sia un fatto storico e che l’osservatore potrebbe essere indotto in errore, poiché valuta la circostanza per il suo aspetto transeunte e non per la verità stabile che è in essa. È il caso del pastoralismo attuale, richiamato da Fontana altrove, dove i fatti non sono interpretati alla luce della dottrina, ma la è la dottrina che muta dietro la mutabilità dei fatti.

Il soggetto (che vede, giudica e fa) deve cioè già avere – come è del resto in Dio – un criterio di giudizio fondato sull’essere e sulla sostanza delle cose (criterio metafisico), che non cambia con il cambiare dei tempi e il susseguirsi delle azioni umane.

Questa centralità dell’impianto metafisico di ogni sapere è talmente importante, che non solo, senza di esso, la DSC si ridurrebbe a una vaga riflessione sociologica, ma le stesse Sacre Scritture potrebbero confondersi con una sorta di racconti morali slegati tra loro, la cui verità dipende dalle epoche della storia. Fontana ritiene irrinunciabile questo impianto e ogni tesi viene da lui trattata in profondità, anche oltre il puro senso morale.

Poco si capirebbe – nell’esempio successivo – dei diritti e dei doveri, se il concetto di giustizia che li sostiene si fermasse alla giustizia farisaica o greco-romana (pur con elementi giusnaturali e di verità).

Cos’è un diritto, cos’è un dovere? – si chiede Fontana – e si risponde che «avere un diritto significa poter avere o poter fare qualcosa» ed «esso concerne il disponibile»; mentre «avere un dovere significa essere a disposizione di qualcosa» ed «esso concerne l’indisponibile». Le risposte sarebbero incomplete o non esaustive se si fermassero qua. Ma qua non si fermano. Fontana non cerca la completezza nella giustizia o nel diritto, ma direttamente nella dottrina dell’essere, che egli richiama nelle risposte successive.

La precedenza del dovere sul diritto dipende appunto dal fatto che «il ricevere precede il fare». E perché viene prima il ricevere e poi il fare? Perché, spiega Fontana, «prima si riceve l’essere e l’essenza [da Dio, ndr]», ovvero «si è, e si è qualcosa e qualcuno, poi si agisce come tale». La questione, allora, è la necessità di un riferimento primario all’essere e all’essenza: questa necessità è lo sguardo metafisico sulla realtà, senza il quale tutto si riduce ad elementi transitori, per l’incapacità umana di cogliere un senso delle cose, delle circostanze, degli avvenimenti.

Il libro appare anche come lo stato dell’arte della DSC e di quanto si è raccolto. Ogni tanto serve fare il punto della situazione e provare a impostare un quadro d’insieme del proprio pensiero, perché non basta dire poco o molto sull’insegnamento sociale del Cristo: con una certa cadenza, è opportuno rivedere il tutto e fare una cernita delle cose più importanti, così da fissarle su carta.

In questo senso, c’è un altro principio della metafisica, del tutto abbandonato dalla cultura parolaia odierna, che è l’«anànke sténai» di Aristotele – «bisogna fermarsi», «è necessario concludere» – senza del quale il dialogo (o la semplice attività pubblicistica) diventa una chiacchiera sterile. Fontana in questa, come in altre sue opere, sembra proprio voler fissare, concludere il discorso in senso aristotelico. Altrove l’autore aveva scritto che, inevitabilmente, il pensiero di una persona si risolve in un «sistema», anche in coloro che negano la possibilità filosofica o teologica di comporlo in parole.

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