Quarantotti Gambini e Il ritorno del fante

Questa la sintesi della conferenza, del ciclo Conferenze del Giovedì del Comitato ANVGD di Milano, tenuta il 12 gennaio 2023, dove la Professoressa e Ricercatrice triestina Daniela Picamus ha esposto i risultati della sua ricerca sul Ritorno del Fante di Pierantonio Quarantotti Gambini, rivelando vicende poco note riguardanti il testo, l’autore e la RAI.

Anvgd Comitato di Milano

di Prof.ssa Daniela Picamus «La pubblicazione de Il ritorno del fante di Pier Antonio Quarantotti Gambini si deve al rinvenimento, nel 2015, di un fascicolo conservato tra le carte dello scrittore, nell’archivio dell’IRCI, Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste.

Si tratta del testo, commissionato dalla RAI, per un documentario che doveva essere trasmesso il 4 novembre 1961, in occasione dell’inaugurazione del secondo canale televisivo. Per quella serata la RAI aveva pensato a una trilogia di filmati raccolti sotto l’emblematico titolo 1915-1918: la Guerra e la vittoria. Il centenario dell’unità d’Italia e la data in cui si commemorava la vittoria nella Prima guerra mondiale giustificavano tale scelta. In apertura era previsto Quel lungo treno, un concerto ispirato ai canti di trincea rielaborati dal maestro Raffaele Gervasio. Poi La trincea, un racconto sceneggiato dello scrittore Giuseppe Dessì, basato sulla rielaborazione di un episodio – la conquista di una trincea austriaca ad opera di un battaglione sardo – di cui era stato realmente protagonista il padre dell’autore.

Infine il documentario con il commento di Pier Antonio Quarantotti Gambini, dal titolo – alla fine modificato – Tutti quei soldati, centrato sull’importante contributo dei fanti sui campi di battaglia. Il tema della Grande guerra stava molto a cuore a Quarantotti Gambini, che aveva sempre vivo il ricordo dello zio materno, Pio Riego, caduto come volontario sul Podgora nel 1915. La presenza delle truppe italiane in Istria era stata descritta anche in alcuni romanzi del ciclo de Gli anni ciechi e anche un racconto della sua prima raccolta, I nostri simili, vede come protagonista un soldato istriano.

Come aveva dichiarato nell’intervista al Radiocorriere TV del 29 ottobre, nel suo testo Quarantotti Gambini voleva soprattutto “illuminare il sacrificio del fante”, con un “tono e da un punto di vista alquanto diversi da quelli cui si affidano certe celebrazioni del passato”, vale a dire da un’ottica interna al personaggio, di cui si immaginano dubbi, perplessità, incertezze. Quarantotti Gambini, con una sorta di artificio della regressione, riesce a immedesimarsi nello spirito del fante, che deve abbandonare la famiglia, il paese, il lavoro per andare a combattere per ideali di cui non capisce pienamente il significato, come “Risorgimento” e “unità nazionale”, restituendo al fante il ruolo decisivo svolto nella guerra: “Erano loro l’Esercito: migliaia di fanti in faccia alla morte, e piegati alle più dure fatiche, senza nessuna certezza, tranne quella – intima – che, pure obbedendo, pure servendo, bisognava cercare di cavarsela come meglio si poteva, per tornare un giorno al paese; alle mamme, alle donne, ai figli.”

Il testo si sviluppa attorno ai momenti salienti della Guerra: si apre con un riferimento all’ottobre 1917 e alla stanchezza dei soldati coinvolti in una guerra di cui, al momento della partenza, essi non potevano immaginare la durata.

Prosegue con la rievocazione della presa di Gorizia dell’8 agosto 1916. Riprende poi con la disfatta di Caporetto, il ritiro della Russia, la battaglia del Piave, momento decisivo che “rivelò la più vera unità d’Italia”, e poi l’occupazione di Vittorio Veneto, lo sbarco dei bersaglieri a Trieste, la liberazione di Trento e delle città venete dell’Istria. Il testo si chiude con l’immagine del viaggio della salma di un fante, scelta tra migliaia senza nome, nella bara che verrà tumulata a Roma: “Era il Fante nel senso più largo, il soldato di tutte le Armi; era colui che aveva fatto la guerra: colui che l’aveva vinta. Intere folle – al suo ritorno – si misero in ginocchio.”

Su quest’ossatura, in cui non mancano precisi riferimenti anche alle altre forze in campo – alpini, marina, aviazione – Quarantotti Gambini predispone l’inserimento di citazioni letterarie, dando voce agli scrittori che di quella guerra erano stati testimoni, come Giuseppe Ungaretti, presentato come fante toscano, o Vittorio Locchi, ufficiale toscano morto in mare prima della fine della guerra, Giovanni Comisso, ufficiale del genio addetto ai servizi telefonici, Antonio Baldini, giornalista inviato speciale al fronte.

Fin qui il testo di Quarantotti Gambini, nella versione finale della trasmissione RAI. Ma perché non se ne trova traccia in nessuna biografia dello scrittore? L’esame delle carte conservate nell’archivio ha consentito di ricostruire molti retroscena di quella messa in onda, fatti di dissapori tra estensore del commento e regista, culminati il giorno prima della serata con il ritiro della firma dai titoli di testa dello stesso regista, Mauro Morassi, a causa degli eccessivi tagli arbitrariamente decisi dalla RAI. Ma molto forti erano stati anche i contrasti con Quarantotti Gambini, che, secondo Morassi, non voleva adeguare il testo alle sue riprese.

Quarantotti ribatteva che i tagli erano stati imposti da lui, oltreché dalla RAI. Numerosi ritagli di giornale, conservati presso l’Archivio, documentano il botta e risposta che si susseguì nei giorni seguenti alla proiezione, sulla stampa locale (Il Piccolo di Trieste), ma anche su quella nazionale. E dalle colonne dell’’Espresso il giornalista Sergio Saviane, denunciando i tagli effettuati, si scagliò contro l’atteggiamento censorio della RAI, che aveva arbitrariamente eliminato tutti i punti e le citazioni in cui si parlava di debolezza, paura, uccisioni, aspetti che sembravano oscurare il valore eroico dei soldati o evocare immagini negative. E che, all’ultimo, cambiò anche il titolo.

Confrontando le varie stesure del testo – se ne contano almeno quattro – è stato infatti possibile ricostruire fedelmente l’entità dei tagli, che non riguardarono solo le citazioni da Soffici, Stuparich e Hemingway: anche il pensiero di Quarantotti Gambini viene smussato, depurato dei dettagli che sembravano andare troppo in profondità. Non rimane infatti traccia della distinzione da lui fatta tra “arditi”, “imboscati” e “disertori”, né sopravvive la sua accorata partecipazione al destino dei soldati dispersi che, diventando “i caduti” sembravano perdere la loro dignità di uomini. Così come scompaiono i riferimenti alle parole del Papa che aveva esecrato “l’inutile strage”.

Tuttavia, pur con le vicissitudini della realizzazione, Quarantotti Gambini alla fine sembrò accettare i tagli, perché, come dichiarò, “essi non alteravano lo spirito del [suo] testo, per quanto ne risultasse assottigliato”.

Ma di questo suo lavoro, di fatto, non parlò più.»

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