Unesco, tartufo patrimonio umanità

Sono oltre duemila i tartufai muniti di tesserino di idoneità per la ricerca e la raccolta in Lombardia. È quanto afferma la Coldiretti sulla base degli ultimi dati regionali in occasione dell’iscrizione della “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali” nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità tutelato dall’Unesco.

In Lombardia – precisa la Coldiretti regionale – le aree maggiormente vocate per questo tipo di attività sono quelle dell’Oltrepo Pavese, con Varzi e Casteggio come centri principali, del Mantovano nella zona rivierasca del Po per il tartufo bianco e nella zona collinare dell’Alto Mantovano per il tartufo nero. Altre aree dove si possono trovare tartufi sono sulle colline moreniche del Garda in provincia di Brescia e in alcune zone della provincia di Bergamo.

In Italia – sottolinea Coldiretti – l’arte della ricerca del tartufo coinvolge una rete nazionale composta da circa 73.600 detentori e praticanti, chiamati tartufai, riuniti in 45 gruppi associati nella Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (FNATI), da singoli tartufai non riuniti in associazioni per un totale di circa 44.600 unità e da altre 12 Associazioni di tartufai che insieme all’Associazione Nazionale Città del Tartufo (ANCT) coinvolgono circa 20.000 liberi cercatori e cavatori.

Una vasta comunità, distribuita nei diversi territori regionali italiani, che – evidenzia Coldiretti – coinvolge in prima battura la coppia cavatore-cane in un rapporto armonico tra il cavatore e la natura, che è alla base della trasmissione di conoscenze e tecniche legate alla cerca e cavatura individuate come una pratica sostenibile. Mentre in ambito famigliare è ancora il singolo tartufaio più anziano, nonno o padre, che insegna alle nuove generazioni i segreti, gli accorgimenti, i luoghi e le tecniche della cerca e della cavatura.

La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri – riferisce la Coldiretti – svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive dove rappresenta una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore.

Il prezzo medio del tartufo bianco ha raggiunto quest’anno i 480 euro all’etto secondo l’analisi Coldiretti al borsino del tartufo di Alba, punto di riferimento a livello nazionale per il tubero più prezioso d’Italia, sui massimi toccati negli ultimi anni con i 350 euro nel 2013, i 500 euro nel 2012 e i 450 euro all’etto del 2017 per pezzature medie dai 15 ai 20 grammi. Nel 2021 inoltre – continua la Coldiretti – le esportazioni del tartufo Made in Italy hanno fatto registrare un aumento record del 44%.

Il tartufo – riferisce la Coldiretti – è un fungo che vive sotto terra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi. Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia – spiega la Coldiretti –, deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio dal tipo di albero presso il quale si è sviluppato. La forma, invece dipende dal tipo di terreno: se soffice il tartufo si presenterà più liscio, se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio. I tartufi sono noti per il loro forte potere afrodisiaco e in cucina il bianco (Tuber Magnatum Pico) va rigorosamente gustato a crudo su noti cibi come la fonduta, i tajarin al burro e i risotti e per quanto riguarda i vini va abbinato con i grandi rossi Made in Italy.

L’arte italiana della ricerca del tartufo entra nella lista Unesco del patrimonio culturale immateriale dell’umanità al fianco di molti tesori italiani già iscritti – continua la Coldiretti – dall’Opera dei pupi (iscritta nel 2008) al Canto a tenore (2008), dalla Dieta mediterranea (2010) all’Arte del violino a Cremona (2012), dalle macchine a spalla per la processione (2013) alla vite ad alberello di Pantelleria (2014), dall’arte dei pizzaiuoli napoletani (2017) alla la Falconeria fino all’“Arte dei muretti a secco”, ma non mancano neppure luoghi simbolo tutelati dall’Unesco come le Colline del Prosecco e le faggete dell’Aspromonte e del Pollino.

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