Cesare Fumagalli: il futuro è di artigiani e piccoli imprenditori

Cesare Fumagalli, con la giornalista Michela Fumagalli, ha pubblicato “Piccola impresa, indicativo futuro. L’intelligenza del polpastrello” (Guerini e Associati, pagg. 162, € 18,00). Fin dalla prefazione, curata da Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, il lettore comprende l’importanza del tema del libro. Si tratta infatti di un viaggio in quel variegato mondo dell’ artigianato e della piccola e media impresa che produce il 23 per cento del Pil nazionale.

Un mondo costituito da «quasi 4,9 milioni di piccole imprese (con meno di 10 dipendenti), che rappresentano il 95 % del totale delle aziende attive in Italia, con i loro 7,5 milioni di addetti, ovvero il 43% degli occupati, tra le quali più di 1,2 milioni di imprese artigiane, ovvero il 25% del totale delle piccole imprese».

L’Autore, lecchese doc, è un sociologo prestato all’economia vera, quella di coloro che producono beni e servizi reali, il quale ha dedicato la vita alla piccola impresa studiandola e favorendone lo sviluppo in Italia e in Europa (dal 2005 al 2020 è stato segretario generale di Confartigianato).

Oltre ad avere fatto parte di consigli di amministrazione di banche e di camere di commercio, Fumagalli è stato per oltre un decennio membro del board di SME United, l’associazione che rappresenta 70 organizzazioni di piccole e medie imprese di oltre 30 Paesi europei. Scrive dunque con cognizione di causa; e il lettore, scorrendo pagina dopo pagina, se ne rende conto facilmente.

La tesi che egli sostiene è che «il sistema d’impresa diffusa sul territorio, l’impresa a “valore artigiano”, rappresenti un punto di forza su cui fare leva per rialzare un’economia che da almeno tre decenni non riesce a crescere allo stesso ritmo dei competitor».

Senza troppi giri di parole Fumagalli spiega che se anche l’establishment nostrano e internazionale (figure come l’ex primo ministro Renzi e i finanzieri alla Draghi, per intenderci) si ostina a favorire le aggregazioni di imprese di grandi dimensioni, penalizzando artigiani e piccoli e medi imprenditori, «il futuro è dei prodotti a maggior tasso di personalizzazione, non quello dei prodotti standardizzati».

Fermo restando il fatto che nessuna ripresa economica sarà possibile se il nostro Paese non si sbriga a riformare la Pubblica amministrazione, il Fisco e la Giustizia, il Sociologo s’addentra in un convincente percorso con cui dimostra che le piccole imprese «sono naturalmente sostenibili in tutte le tre dimensioni considerate dello “sviluppo sostenibile”: economica, sociale e ambientale».

Interessante il dato – ben sottolineato – sulla ripresa d’attitudine al recupero e al riciclo che, grazie soprattutto alle micro imprese (quelle fino a 9 addetti), pone l’Italia al primo posto in Europa. «Un’eredità, forse, della nostra tradizionale mancanza di materie prime», è il commento appropriato dell’Autore.

Encomiabile poi l’elogio che Fumagalli fa dell’ “intelligenza del polpastrello”: «un scelta non solo estetica, ma anche etica», come spiega a pagina 100, «a difesa di chi coltiva il fatto bene, tramandando un sapere lungo intere generazioni; ed ecologica , perché il fatto a regola d’arte è anche più duraturo, è qualcosa che nasce per restare, non solo per essere consumato rapidamente e poi buttato via».

Insomma “Piccola impresa, indicativo futuro” è un inno alla laboriosità e all’intraprendenza di quei “minuscoli” imprenditori che hanno reso possibile all’Italia di sedere accanto alle maggiori potenze economiche del mondo fin dagli anni del dopoguerra quando «i cinesi eravamo noi italiani», rammenta Fumagalli.

Oltre che adottato nei corsi di Economia e Commercio, il testo dovrebbe essere utilmente letto (e studiato) da quella marea di amministratori della cosa pubblica, parlamentari in primis, i quali potrebbero così comprendere chi siano gli artefici di quel benessere di cui essi stessi hanno fino ad oggi goduto.

«Il sistema economico italiano non deve essere rifondato. Deve essere sviluppato, prendendo come leva ad alto potenziale la piccola impresa da cui è composto in larghissima maggioranza», conclude lapidario Fumagalli.

Anche se, per ora, pochi lo percepiscono, la testa principale dell’idra della globalizzazione è stata recisa. Naturalmente la bestia dà ancora forti colpi di coda, ma il tempo della sua fine è segnato. Per dirla con il manzoniano Renzo «la c’è la Provvidenza», perché sono già evidenti i sintomi della malattia che porterà all’estinzione dei grandi dinosauri (le holding internazionali, i colossi industriali, i big etc.), mentre sopravviveranno e si irrobustiranno gli animali di ridotte dimensioni (artigiani e piccoli imprenditori) perché meno gravati dalle necessità di sostentamento, più scattanti, duttili e quindi meglio in grado di adattarsi al “nuovo che avanza”.

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