Tra detrattori e auspici

Pubblichiamo di seguito l’editoriale di apertura del numero 4 del Bollettino “Coordinamento Adriatico” di Lorenzo Salimbeni, che ringraziamo per la gentile concessione.

di Lorenzo Salimbeni «Giampaolo Pansa li chiamava «i gendarmi della memoria». Renzo De Felice in “Rosso e nero” parlava di «vulgata resistenziale». Giovannino Guareschi li definiva «trinariciuti». Dicono di essere paladini della Costituzione e della Repubblica di fronte a una presunta minaccia neofascista, ma fanno orecchie da mercante quando il presidente della Repubblica esprime concetti chiari riguardo l’importanza del Giorno del Ricordo e condanna negazionisti, revisionisti e giustificazionisti delle foibe. Si cimentano in equilibrismi interpretativi e storiografici; pur di svilire, sminuire e mantenere in disparte la questione delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Cavillano al ribasso sui numeri di queste tragedie senza alcuna considerazione per l’aspetto umano e di grande impatto emotivo che comporta il fatto che simili vicende siano comunque avvenute per lo più a danno di civili. Le cessioni territoriali al confine orientale sancite dal Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 vengono considerate alla stregua delle perdite delle colonie africane, senza alcuna considerazione per secoli di storia, lingua e cultura italiana radicata sulle coste dell’Adriatico orientale, da Trieste a Zara, passando per Pola e Fiume.

D’altro canto la loro narrazione comincia con l’incendio del Balkan il 13 luglio 1920 e termina il 25 aprile 1945 con la Liberazione. Prima non ci sono opposti nazionalismi che si scontrano in maniera sempre più aspra fra loro nell’area adriatica con il benestare delle autorità austro-ungariche, fomentatrici di un pernicioso «divide et impera». In seguito non si notano violenze su cittadini italiani, di tutte le estrazioni politiche e sociali, né mutilazioni territoriali che bene rappresentano una sconfitta e non una vittoria. Se lotta partigiana, resistenza passiva degli internati militari italiani nei lager nazisti e cobelligeranza dell’esercito del Regno del sud rappresentarono quello che Winston Churchill definì «il biglietto di ritorno tra le democrazie» che l’Italia doveva esibire, la partecipazione agli utili della vittoria alleata sulla Germania segnò un saldo negativo, ma pare poco opportuno rammentarlo. L’8 settembre che costoro celebrano come momento di riscatto nazionale non solo segnò l’inizio della catastrofe adriatica con la prima ondata di stragi titine nelle foibe istriane e nelle fosse comuni e nelle onde dalmate, ma anche la resa incondizionata dello Stato italiano e la remissione del proprio destino alla benevolenza degli angloamericani. E proprio a questo collasso politico, militare e istituzionale si riferiva Ernesto Galli Della Loggia allorché parlava di «Morte della Patria», ma essi vi trovano motivo di entusiasmo.

Fra di loro albergano storici dell’arte e medievalisti che da un giorno all’altro si sono scoperti contemporaneisti con particolare riferimento a quanto avvenne nella fase finale della seconda guerra mondiale in Venezia Giulia, Carnaro e Dalmazia e si oppongono a studiosi e accademici che da anni si occupano di questi argomenti. In una recente intervista rilasciata al quotidiano «Libero», Giuseppe Parlato li ha definiti non «revisionisti», bensì «impreparati». La loro bandiera è un libello edito a gennaio scorso da Laterza che, citando una caricatura televisiva, si intitola “E allora le foibe?”. In tale collana – “I Robinson. Fact Checking” – compare tra l’altro quest’opera, che ha l’ambizione di smantellare il Giorno del Ricordo, considerato come una celebrazione neofascista e che un attore teatrale ha esplicitamente richiesto di abolire. Un altro saggio edito nella medesima raccolta, innalza bastioni a difesa del 25 Aprile dagli assalti di chi ne contesta la valenza come festa nazionale o indaga sulle zone d’ombra che aleggiano ai margini della storia della Resistenza (un nome a caso: Porzus). Il sottotitolo della collana potrebbe a questo punto essere ‘Quod licet Iovi, non licet bovi’.

Ci accostiamo pertanto al Giorno del Ricordo 2022 con la consapevolezza che da parte di sempre più istituzioni, scuole ed enti locali attenzione e sensibilità non mancheranno, ma contestazioni e polemiche, benché in misura marginale, troveranno testate giornalistiche e spazi televisivi che le ospiteranno. Le restrizioni dovute alla pandemia costringeranno purtroppo a svolgere in formato ridotto o telematico quei momenti di incontro organizzati da scuole o amministrazioni comunali e che così importanti erano per le associazioni della diaspora adriatica al fine di svolgere lezioni di inquadramento del Giorno del Ricordo, ovvero portare la preziosissima testimonianza dei testimoni diretti e ancora viventi di quelle vicende. Il calendario costituzionale, infine, vuole che il 10 Febbraio prossimo venga molto probabilmente a cadere nel bel mezzo delle operazioni che porteranno all’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Da un lato vi è il timore che l’attenzione dei media sia concentrata su tale importante appuntamento, dall’altro l’auspicio che il nuovo Capo dello Stato sia già in carica e inizi il suo mandato dimostrando sensibilità istituzionale e partecipazione personale alla ricorrenza del Giorno del Ricordo.»

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