Ricordare le donne infoibate nella Giornata contro la violenza sulle donne

di Lorenzo Salimbeni La tredicenne Alice Abbà e sua madre Giuseppina Micoli. Le sorelle Albina, Caterina e Fosca Radecchi. E poi Norma Cossetto, che è diventata il simbolo del martirio nelle foibe, ma come lei tantissime sono state le donne vittime di deportazione verso l’ignoto, processi sommari, stupri, uccisioni ed infoibamenti.

«Le cittadine italiane soppresse da parte jugoslava partigiana nel periodo 1943-1946 ammontano a 453 – ha rilevato Marino Micich, Direttore del Museo Archivio Storico di Fiume con sede a Roma nel Quartiere giuliano-dalmata – e di loro ben 15 erano insegnanti e maestre. Tali dati sono stati stabiliti in seguito a compulsazione di varie opere dedicate alle perdite umane e vittime italiane in Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia».

La tragica vicenda di Norma Cossetto, Medaglia d’oro al Merito civile assegnata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ha avuto visibilità grazie ad una serie di iniziative, dal film “Rosso Istria – Red land” all’iniziativa Una rosa per Norma passando per il fumetto a scopo didattico “Foiba rossa”.

Meno note sono Giuseppina ed Alice la moglie e la figlia del vigile urbano Giorgio Abbà, infoibato a Vines dai partigiani comunisti jugoslavi nel settembre 1943, e a loro volta sequestrate dai titini e gettate nella foiba di Moncodogno perché cercavano di avviare delle indagini che individuassero i colpevoli dell’omicidio del congiunto.

Riguardo la riesumazione delle sorelle Radecchi, riferisce il rapporto dei Vigili del Fuoco di Pola che si occuparono del recupero delle salme dalla foiba di Terli il 4 novembre 1943:

«Alle ore 08.00 il Maresciallo Harzarich con i Vigili Bussani e Paron si calano nella foiba. Dopo una giornata di intenso e pericoloso lavoro vengono riportate alla superficie n° 26 salme tra le quali quelle di quattro donne.
Ecco i nomi dei riconoscimenti:
1 – Radecchi Albina, di anni ventuno, da Lavarigo (Pola). È in stato di avanzata gravidanza. Presenta varie ferite d’arma da fuoco sulla faccia.
2 – Radecchi Caterina, di anni diciannove, da Lavarigo (Pola). Sorella della precedente.
3 – Radecchi Fosca, di anni diciassette, sorella delle due precedenti.
La storia delle tre ragazze è la seguente.
Prima dell’8 settembre 1943 lavoravano in una fabbrica di Pola ed ogni sera nel ritornare a casa, dovevano passare per il Campo di Fortuna di Altura, si soffermavano a parlare con alcuni militari.
Dopo l’8 settembre 1943, quando i partigiani di Tito divennero i padroni incontrastati della zona, furono prelevate di notte dalla loro abitazione e portate prima a Barbana a far da sguattere.
Verso il 10 ottobre, per la pressione esercitata dalle truppe tedesche nella zona, esse furono gettate nella foiba di Terli.
Dalle foto si nota la Albina addirittura senza mutande e le due sorelle con le mutandine stracciate ai fianchi il che fa supporre che anche negli ultimi istanti le ragazze hanno dovuto subire impotenti la brutale violenza dei partigiani jugoslavi.
Il padre settantenne delle Radecchi è vivente in Lavarigo»

Queste e altre storie di donne del confine orientale italiano travolte dalla violenza delle guerre e dal fanatismo delle ideologie devono essere ricordate anche oggi, 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. (Fonte Anvgd)

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