Restano una “felice ossessione” quei temi che, come afferma la critica d’arte Isabella Panfido, il Maestro di fama internazionale Alberto Biasi approfondisce nella sua lunga ricerca artistica sull’impatto luminoso di luce naturale, elaborando sempre nuove soluzioni con la serie di opere ‘Politipi’, realizzate a partire dalla fine degli anni Sessanta, opere di sicura fascinazione.
Al ciclo pittorico dei ‘Politipi’ è dedicata l’importante mostra, a cura di Federico Sardella, presso la DEP ART Gallery di Milano, inaugurata il 26 maggio scorso con la presenza del Maestro. Mostra che rimarrà in essere fino al prossimo 13 Settembre nei luminosi locali di Via Comelico 40 a Milano. Per il maestro padovano è un importante ritorno nella città di Milano, dopo la recente significativa mostra presso la Galleria San Fedele, relativa ad altri cicli di opere.
Stupore e meraviglia è ciò che si avverte di fronte alle opere dell’artista, maestro indiscusso dell’Arte Cinetica: sentimenti comuni del numeroso e qualificato pubblico accorso nella Galleria di Antonio Addamiano.
L’inaugurazione presso DEP ART ha rappresentato l’occasione per vedere opere di significato storico nella produzione di Biasi, il quale ha sottolineato come “l’arte non è solo una questione di forma ma anche di energia e di movimento” ed i ‘Politipi’ incarnano questo concetto”, invitando lo spettatore a cogliere la variazione e l’ampliamento, a esplorare la relazione tra l’opera, lo spazio, i colori e la luce. “Il mio obiettivo – sottolinea – è quello di creare un’opera che non sia solo un oggetto ma una esperienza”.
Ma come si caratterizzano queste opere? I ‘Politipi’ sono una continuazione delle ‘Torsioni’ e dei ‘Rilievi ottico-dinamici’ per il permanere di strutture lamellari in tensione che, voltate attorno a dei perni disposti secondo andamenti regolari, che possono essere curvi o lineari, consentono non solo la torsione, ma anche la deviazione delle sottili stringhe ritagliate dalla tela. Arricchiti successivamente da elementi geometrici in movimento reale, i ‘Politipi’ si caratterizzano per uno spiccato cangiantismo coloristico e per la presenza di una nota decisamente alta di pittura astratta che, sebbene calcolata nei termini di congruenza agli andamenti delle variazioni ottiche, acquista un innegabile valore formale in sé.
Lasciandosi talmente prendere dal gusto della sperimentazione, l’artista seleziona forme, colori e spazi finalizzati alla produzione di opere innovative, assolutamente statiche dal punto di vista fisico, ma dinamiche, mutevole e cangianti dal punto di vista ottico e visivo. Creazioni in movimento: una continua metamorfosi per cui figure geometriche si deformano e si trasformano rendendo ambigua la realtà percepita.
L’opera di Alberto Biasi ha avuto molti commentatori e critici d’arte altamente qualificati. Dino Formaggio, che ha dedicato al lavoro di Bisi uno studio magistrale (1994), si è così espresso (ricorrendo ad argomentazioni artistico-filosofiche e di filosofia della scienza): “L’arte di Biasi si decide sul limite di una sperimentazione autenticamente fenomenologica …, sono in gioco le leggi e i movimenti di una scienza non obiettivamente naturalistica, non psicologicamente soggetta all’obiettivismo scientifico criticato dalla Fenomenologia husserliana. Sono le leggi che collegano le interazioni tra percezione, memoria e interazione nelle dinamiche di realtà di cui si popola il mondo delle apparenze. Un’arte, questa di Biasi che si decide sui limiti di confine delle scienze… “. Una progettualità, anzi una “meta-progettualità liberata, in quanto disinteressata”. Essa – come commenta ulteriormente Luciano Caramel – è alla base della potenzialità delle opere di Biasi di catturare, fascinandolo, il fruitore, prendendolo nei sensi, nell’emotività, nella fantasia, ma anche di attrarlo in una riflessione sul senso.
Per comprendere l’arte di Biasi e la sua estetica vale la pena riprendere le considerazioni espresse anche da altri studiosi come Giovanni Granzotto, Marco Meneguzzo, Leonardo Conti ed altri validi commentatori, senza dimenticare ovviamente Federico Sardella, curatore della mostra inaugurata presso DEP ART il 26 maggio scorso.
Citando Alberto Biasi come maestro dell’Arte Cinetica dobbiamo nel contempo citare la situazione culturale in cui sono maturate le opere d’arte di tale movimento artistico e, all’interno di tale indirizzo la particolare posizione di Biasi. Il quale, dalla fine degli anni Cinquanta, era partito con delle opere (chiamate ‘Stratificazioni’) che sembravano parlare dell’osservazione della realtà naturale attraverso più angoli di visuale, con conseguente nostra risposta interpretativa a quella visione. La posizione statica e centrale, tipica dell’arte rinascimentale, dell’uomo che si poneva nel bel mezzo dell’universo, veniva superata dalla precarietà e dalla instabilità dinamica e fluidità interpretativa: Biasi, per la prima volta (a meno di pensare a Magritte, ma con altro linguaggio artistico), inseriva il concetto di spazio-tempo anche nella bidimensionalità dell’opera d’arte: realtà immaginata in mutazione e variabilità e instabilità della visione, con il coinvolgimento in termini fortemente emotivi, sensoriali, psicologici, sul piano della visionarietà allusiva e attività partecipativa dello spettatore. Produzione di arte, gli “oggetti ottico-cinetici”, come significato, appunto, del movimento frutto della mente di chi guarda (forma virtuale, creativa rispetto a forma reale, originaria): senza tradursi tuttavia in uno scientismo razionalista, né costituire uno scivolamento verso proposte trasgressive e spiazzanti tipo Dada o Duchamp o Man Ray.
Nel caso del maestro padovano si può allora correttamente accennare al rapporto scienza-uomo-natura: qualora si abbia l’occasione di conferire personalmente con l’artista – sempre disponibile al dialogo, all’ascolto, alla conversazione ed alla battuta – si ottiene la chiara sensazione che ogni fenomeno naturale, ogni piccola o grande meraviglia del creato produca nel Maestro un formidabile e sorgivo sentimento di affascinazione, e ciò si traduce nelle sue opere: scienza e meraviglia, razionalità ed emotività.
Ma un’ulteriore riflessione sembra doverosa: Aleksander Bassi e Giovanni Granzotto nel commentare l’importante mostra di Blasi in Slovenia di qualche anno fa, hanno accennato ad un altro aspetto della poetica dell’artista padovano: la geometria e l’alterità. Citiamo: “il susseguirsi frenetico di forme geometriche basilari che si rigenerano senza tregua evoca più o meno volontariamente l’idea di infinito, ed è forse proprio questo concetto che funge da placebo nella ricerca di un significato più giustificabile. In realtà però, analizzando il fenomeno con maggiore lucidità, è esattamente solo l’idea dell’assoluto ad essere tirata in gioco …, ma riconduce più semplicemente all’evocazione di una costrizione frenetica, caratteristica della contemporaneità … che illude l’individuo di possedere una libertà di cui effettivamente è privo…”. In tal caso appare evidente la metafora dei nostri tempi incarnata in questo ciclo artistico.
Ma vogliamo congedarci da Alberto dando a lui l’ultima parola: “Al di là di ogni stravaganza, il mio fine di pittore e scultore rimane pur sempre quello di tradurre in immagini quel mondo che ai miei occhi appare o sembra apparire come vero, che concepisco nella mia mente e desidero sia reale o realizzabile”.
Pittura ed anche poesia, evocata da questo suo pensiero: “La novità? Penso consista nell’aver tradotto in immagini gli arcobaleni invisibili che sfuggono normalmente ai nostri occhi”.
Per l’occasione della mostra, pensata in stretta collaborazione con l’Artista, sarà pubblicato un volume bilingue italiano inglese con la riproduzione di tutte le opere esposte e un lungo dialogo tra Alberto e Federico Sardella, realizzato nello studio di Padova.



