A Verbania la mostra di Coltro, pittura oltre la materia

Palazzo Viani Dugnani a Verbania (provincia del VCO – Verbano-Cusio-Ossola) è un palazzo in stile barocco fatto costruire nel XVI secolo dalla famiglia Viani; in esso ha sede il “Museo del paesaggio”, la più antica istituzione culturale del territorio del VCO. Molte sono le iniziative organizzate e ospitate al Museo in tutte le stagioni. Nei suoi suggestivi spazi è esposta al pubblico la più significativa collezione di opere d’arte del Lago Maggiore: dipinti e sculture (dalla fine dell’Ottocento ai primi del Novecento) raccontano la capacità del territorio di attrarre e ospitare artisti di importanza internazionale (Daniele Ranzoni, Paolo Troubetzkoy, Mario Tozzi, Arturo Martini, ed altri).

Il Museo, secondo le intenzioni della Direttrice artistica Federica Rabai e della presidente del Comitato scientifico Elena Pontiggia, intende valorizzare le collezioni ospitate ma, contemporaneamente, proporre il dialogo con gli artisti contemporanei.

Nella prestigiosa cornice museale è infatti attualmente ospitata, fino al mese di Maggio 2025, l’importante mostra dell’artista Davide Maria Coltro, “mostra di grande intensità, di assoluta raffinatezza, nella scelta e nei contenuti” – come ha affermato Elena Pontiggia nel giorno di presentazione, alla presenza di Autorità della Provincia e del Comune di Verbania e con il discorso introduttivo da parte di Carlo Ghisolfi, Presidente del Museo.

Il tema del paesaggio è ‘l’argomento’ di fondo che unisce l’ispirazione artistica della collezione permanente ospitata nel Museo e quella delle opere di Coltro, consentendo così un raffronto offerto ai visitatori: un raffronto che ribadisce, da una parte, il valore dei capolavori storicizzati (artisti citati sopra) e, anche, conferma la straordinaria creatività artistica del caposcuola dei “quadri mediali”, Davide Maria Coltro. La trentina di opere da lui proposte si allineano e si fondono visivamente, nella successione delle sale, all’allestimento delle opere della collezione del Museo, partendo da un nucleo storico (primi anni duemila) – opere prestate da Pietro Gagliardi, mecenate e gallerista torinese – fino ad arrivare alle ultimissime opere dell’artista, pensate appositamente per il Museo.

Tema di fondo, si è detto, è il paesaggio, la cui rappresentazione, nell’arte di Coltro, non è l’esito di una modernità o uno sperimentalismo più nuovo. Come per ogni significativo artista, lo sguardo di valutazione deve considerare il che cosa viene rappresentato ma anche il mezzo tecnico e soprattutto il significato che l’opera intende esprimere, e ciò vale per l’artista ma anche e soprattutto per lo spettatore che è destinatario e fruitore dell’opera d’arte. Dunque, se il paesaggio è il tema comune delle opere presenti nel Museo, il mezzo per rappresentarlo costituisce la tipicità specifica adottata dall’artista, unitamente al ‘particolare sentimento’ che l’opera evoca.

In Coltro – come afferma la curatrice Pontiggia – “la tecnologia si sposa con la percezione del paesaggio”. Davide pensa e realizza “opere in divenire”, che non si concludono ma cambiano continuamente; lavora sull’immagine, sul mutamento, come metamorfosi dell’immagine, e in queste ultime opere – pur continuando il lavoro sulla geometria che ha ispirato tanti suoi lavori – si riallaccia al colore, all’espansione del colore, “espansione che non ha più una struttura geometrica alla base, ma si diffonde un po’ come si diffonde la nebbia”. Quasi buttando all’aria le varie argomentazioni, care ai critici d’arte, sulla distinzione, dal punto di vista stilistico, tra figurazione e astrazione.

Tecnica e significato, dicevamo.

La sperimentazione di Coltro, con le immagini in continuo divenire (che fanno dire allo stesso artista “Le mie opere non sono mai finite”), si avvale dello strumento tecnologico, del computer (il quale fa parte ormai della nostra vita, in tutto). Come dice la curatrice Pontiggia, “gli artisti hanno sempre usato le tecniche e le invenzioni per fare arte”; Pontiggia rammenta il titolo della Mostra “Lo sguardo lucente: paesaggi mediali ai tempi dell’AI”, dove l’elemento AI, Intelligenza Artificiale, viene utilizzato come materiale, alla stessa stregua degli aiuti di bottega di cui si servivano i grandi artisti del nostro Rinascimento: poiché “se non ci fosse – oltre all’AI – l’intelligenza dell’artista, intelligenza di cuore di anima e di mente, anche l’AI non potrebbe essere usata … e ha sempre bisogno, fortunatamente, dell’autore che la guida e la indirizza”.

Lo stesso artista specifica la distinzione dei suoi “quadri mediali” rispetto alla comune “video-arte”: “nelle mie opere ogni immagine (frame) non ha una successione stabilita ma si va a fondere con delle altre immagini che vengono pescate randomicamente (senza sistematicità, prive di un criterio regolare), quindi ogni volta che appare qualcosa noi non sappiamo mai cosa succederà dopo …. ; per il video-artista, invece, la superficie, la parete, il monitor, è un luogo dove proiettare qualcosa, e poi la sequenza delle immagini a un certo punto si completa e riparte…”.

Chiariti, in tal modo, i formalismi tecnici, arriviamo al cuore del ‘messaggio’ che l’artista vuole comunicare con le sue opere.

Attraverso la tematica del ‘paesaggio’ e la continua, lenta, non prevedibile, metamorfosi delle immagini Coltro vuole portarci a pensare, a meditare, a riguadagnare quel tempo che non è il tempo concitato, scandito dall’orologio, ma un tempo interiore, un tempo dell’anima. Un movimento lento che induce alla contemplazione, e suggerisce un’idea di infinito. Un’idea di paesaggio, dunque, che è, insieme, mistero, luce e bellezza. “Cerco di regalarvi un’esperienza che abbia un piccolo impatto sul vostro spirito e sulle vostre coscienze anche nei confronti del paesaggio, tema così caro a tutti oggi per vari motivi” – ci confida Coltro.

Quello dell’artista è un invito a fare in modo che la volontà dello spettatore si attivi per condividere un tempo, il tempo delle opere che si sincronizza col respiro e col battito del cuore – emozionale, spirituale – di chi la guarda: “l’opera si compie e si completa – afferma Coltro – quando voi decidete di dedicargli del tempo”. Ciò significa che si instaura una relazione, che si compie tra l’artista e chi fruisce del lavoro, attraverso la tela elettronica. “Questa mostra – come ci suggerisce la direttrice Rabai – va vista con calma; davanti a ogni opera mediale c’è una panchina, posizionata proprio perché il pubblico ha bisogno di sedersi ed entrare in quel paesaggio, farsi risucchiare dalle immagini …”

La curatrice Pontiggia ritorna sul tema della natura e sul connesso senso del ‘mistero’: “dire natura è pensare al ‘creato’ e dunque alla sacralità che può avere il paesaggio che, in queste opere, riprende tutto il suo senso di mistero, quel mistero che stiamo dimenticando parlando troppo di natura e di ambiente, e dimenticando però il senso di queste parole…”.

Coltro si riallaccia, nella sua ricerca artistica, ai grandi nomi della storia dell’arte: “Non può mancare nel mio lavoro – afferma – il mio rapporto diretto con la storia dell’arte …”. Ciò si evidenza a proposito del tema del colore e della luce. Argomento che gli offre lo spunto per chiarire anche il senso del titolo della mostra: “Lo sguardo lucente”. “L’espressione è quasi una dichiarazione di poetica” – dice. “E’ riferita anche al percorso e al significato che la luce ha nel mio lavoro: luce e colore, ma in particolar modo la luce…; lo sguardo lucente non è solo dell’artista ma anche di chi osserva l’opera, ma lucente è anche l’opera stessa … come una specie di ascetica dalla materia, dalla pittura tradizionale, per studiare più a fondo una pittura oltre la materia …; la luce cosa fa, entra nel processo pittorico, si trasforma, ne è protagonista, ma poi ritorna a modificare il mondo, perché i quadri mediali emettono luce”. Una espansione senza limiti. Che suggerisce un’idea di infinito. Dunque, ancora una volta, mistero, luce, bellezza.

La fruizione di questa esperienza estetica, l’interazione col mistero e sacralità della natura e la condivisione delle immagini tra artista e fruitore, sottintende in definitiva il ‘credo’ convinto di Davide Coltro: ossia una visione personale intera dell’uomo, un’antropologia che considera non solamente la parte razionale, progettuale o emozionale ma anche la parte spirituale, perché “a mio modesto avviso – esplicita l’artista – l’arte è sempre un’attività eminentemente spirituale”.

Anche nell’ultimissima produzione, quella che sembra presentare fenomeni naturali forti e a volte riferiti ad una natura drammatica, “c’è, tuttavia, comunque – ammette Elena Pontiggia – un senso di serenità di fondo, non c’è l’dea di una natura matrigna e neanche l’idea di uno sconvolgimento che porta allo sconvolgimento dell’uomo, dell’animo stesso, ma c’è sempre un senso di superiore armonia”.

La stessa curatrice puntualizza che la mostra di Coltro “Lo sguardo lucente” è una mostra tra le più intense proposte al Museo, con elementi formali e di contenuto tali che ci fanno affermare che, come dicevano i greci, “le cose belle sono difficili”.

Ai fruitori, agli spettatori il compito ed il piacere di scoprire questa bellezza. La mostra, che proseguirà fino a Maggio del prossimo anno presenterà, nei mesi, anche delle novità, e sono previste visite guidate: la prima sarà prenatalizia, il 21 dicembre, accompagnata dalla critica d’arte Ilaria Macchi, “per aiutare il pubblico ad entrare nella filosofia di Davide”.

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