Pubblichiamo il testo integrale della relazione tenuta martedì scorso 3 ottobre 2023 da Stefano Fontana, direttore del nostro Osservatorio, al convegno “La babele sinodale”, organizzato da La Nuova Bussola Quotidiana. Fontana ha parlato dopo l’introduzione di Riccardo Cascioli e l’intervento di Padre Gerald Murray e prima di quello del cardinale Raymond Leo Burke, che ha concluso i lavori.
Fontana ritiene che il nuovo concetto di sinodalità sia l’esito finale del modernismo filosofico e del suo principio di immanenza. Non c’è una dottrina della sinodalità, essa è definita un “processo”, quindi fatta coincidere con il tempo e la storia. A dirci cosa essa sia sarà il vitalismo degli eventi, la storia della sinodalità mostrerà la sinodalità come storia.
Il processo sinodale non produrrà contenuti ma prassi che nel tempo cambieranno la dottrina senza però dichiararlo mai espressamente. Siccome oggi si ritiene che la sinodalità sia espressione essenziale della Chiesa, la Chiesa sarà sottoposta ad una sinodalità permanente, sinodo dopo sinodo, che la trasformerà lungo il tempo.
Si vede qui l’eredità dell’esistenzialismo, dello storicismo e di una ermeneutica separata dalla metafisica. Si vedono le conseguenze del modernismo filosofico penetrato dentro la teologia cattolica per fare in modo che sia essa stessa a cambiarsi dall’interno, più che essere cambiata dall’esterno].
In questo intervento cercherò di esaminare le principali categorie di pensiero che caratterizzano la nuova nozione di sinodalità. Utilizzerò tre fonti: 1) i documenti ufficiali sul prossimo sinodo, compreso il discorso di Francesco del 2015 in occasione del 50mo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi; 2) la prassi sinodale in questo pontificato, soprattutto il sinodo sulla famiglia degli anni 2014-2015; 3) la principale letteratura teologica di appoggio alla nuova sinodalità.
Come è stato scritto, “il sinodo cambia, la sinodalità resta”, è quindi sul concetto di sinodalità che bisogna concentrarsi, dato che da essa dipenderà questo sinodo e i prossimi sinodi. Anzi, da essa deriverà la stabilizzazione della prassi sinodale come permanente, come un processo continuo. È importante allora considerare quali categorie di pensiero alimentino questa nozione. Tratterò in particolare tre argomenti: la nuova sinodalità come “tempo”, la nuova sinodalità come “prassi”, la nuova sinodalità come “procedura”.
La nuova sinodalità come “tempo”
La nuova sinodalità viene ampiamente definita un “processo”. Quando la Commissione teologica internazionale ha cercato di descriverla, ha utilizzato espressioni che indicano appunto un processo: “stile” di vita, “modo di vivere e operare”, “processi e strutture”, “eventi”. La stessa cosa avviene da parte dei teologi: “camminare insieme”, “riunirsi in assemblea”, “ascolto reciproco”, “dialogo”, “discernimento comunitario”, “creazione del consenso”, “assunzione di una decisione”.
Alla sinodalità come processo viene anche assegnato il compito di precisare la nozione stessa di sinodalità. La sinodalità sarebbe un processo che alimenta una progressiva presa di coscienza nella Chiesa di cosa sia la sinodalità. Filosoficamente si dovrebbe dire che si tratta di un processo storico-dialettico, tipicamente hegeliano: la sinodalità non come qualcosa che ha una storia, ma come qualcosa che si fa nella storia. Sarà la storia della sinodalità o, meglio, la sinodalità come storia, a dirci cosa sia la sinodalità.
Cosa essa sia lo diranno gli eventi. Molti stanno cercando nella Scrittura, nella storia della Chiesa e in quella delle altre confessioni cristiane, spunti che possano costituire dei “precedenti” di nuova sinodalità, ma si tratta appunto di spunti, spesso equivoci e impropri, non di definizioni. Una dottrina sulla sinodalità non esiste.
Del resto, ad essere più precisi, al sinodo sulla sinodalità non viene nemmeno chiesto di definire questa dottrina, ma di vivere un processo nei cui eventi la sinodalità si mostrerà come qualcosa che “si edifica strada facendo, ma a partire dalla base”. Sta qui il carattere sovversivo della nuova sinodalità, il suo essere “senza forma” o, come è stato scritto, un Vaso di Pandora.
Queste osservazioni ci dicono che una prima categoria di pensiero presente nella visione della nuova sinodalità è quella del tempo: la storicità. Manca un accostamento al tema di tipo metafisico.
La sinodalità è detta un camminare, un mettersi in moto, un attraversare il tempo, un vitalismo … e gli eventi di questo camminare sono sia materiali che di coscienza ecclesiale nello stesso tempo, dato che, modernisticamente, la novità degli eventi fa tutt’uno con la novità delle acquisizioni della coscienza ecclesiale sicché la Chiesa non sa cosa è.
Il senso del camminare insieme non è dato fin dall’inizio e non è segnato dal fine da raggiungere, ma emerge nel tempo e dal tempo. Cosa la sinodalità sia non lo si saprà mai definitivamente, perché essa è costitutivamente processo vitale. Garrigou-Lagrange negli anni Quaranta del secolo scorso diceva che per la Nouvelle Tehéologie una teologia che non sia più attuale è da considerarsi una teologia falsa. Lo stesso possiamo dire per la nuova sinodalità: la vera sinodalità sarà quella di volta in volta attuale.
La sinodalità come “prassi”
Gli eventi di un processo nel tempo sono prassi. Alcune parole-chiave della nuova sinodalità, come ascoltare, integrare, condividere, non indicano contenuti ma atteggiamenti, azioni, ossia prassi. In questa prassi, l’agire delle singole persone convocate e l’agire della collettività convocata si congiungono in sintesi dialettica, il particolare e l’universale coincidono nel globale: un centinaio di persone, supposte cattoliche, costituiranno la nuova sinodalità.
Il con-venire e il con-cordare sono di per se stessi prassi producenti un significato. Sono evidenti, in questa gamma di concetti che ruotano attorno alla nozione di sinodalità, gli influssi dell’esistenzialismo, del marxismo, dell’hegelismo e, in generale, dello storicismo prassistico, soprattutto di una ermeneutica separata dalla metafisica.
Tantopiù la cosa risulta evidente (e preoccupante) se si considera che in questa sintesi di opinioni coagulatesi nel tempo si indica con sicumera la voce dello Spirito Santo, proprio come accade nel sistema hegeliano. Mons. Mario Grech, segretario dell’incipiente sinodo, ha scritto che il sinodo ha l’obiettivo “di coinvolgere il più possibile tutte le battezzate e tutti i battezzati, così da ascoltare la loro voce e da riconoscere in essa e attraverso di essa la voce dello Spirito Santo”.
Poiché stiamo parlando di prassi non possiamo non notare il grande scontro tra due pretese: che nella prassi si manifesti la voce dello Spirito Santo e che tale prassi sia stata messa strumentalmente nelle mani “di un piccolo gruppo organizzatore” dalle idee omogenee e prestabilite.
Che la nuova sinodalità sia prassi risulta anche da due altre considerazioni. La prima riguarda lo stretto rapporto nel processo sinodale tra il metodo e il contenuto.
Come ho già evidenziato sopra, si è deciso di cominciare a camminare anche se non si sa ancora bene, sul piano concettuale e dottrinale, cosa la sinodalità sia, quindi dove andare. Ecco, quindi, che il metodo e il contenuto coincidono. Il ritrovarsi, il parlarsi, il decidere insieme in una specie di brainstorming elitario sono già sinodalità in atto. Il metodo non è solo applicativo, ma è costitutivo della sinodalità. Il contenuto è immanente al metodo. Questo spiega anche perché la partecipazione al processo sinodale non possa avere limiti: tutti devono poter partecipare, anche gli atei o i nemici di Cristo.
Se metodo e contenuto coincidono, l’atto del partecipare porta già con sé il suo senso contenutistico. La sinodalità non sarà più dei vescovi o di altre categorie interne alla Chiesa precisate di volta in volta dall’autorità ecclesiastica, ma sarà di chi vi partecipa, ciò avviene già secondo un metodo sinodale e quindi secondo un contenuto sinodale. La nuova sinodalità non sarà nemmeno più dei cristiani e, meno che meno, dei cattolici.
Si tratterebbe di confinamenti che ancora pretendono che il contenuto stabilisca dei limiti al metodo, ma il modernismo filosofico e teologico pensa di aver stabilito da molto tempo e definitivamente che è vero il contrario, cioè che il metodo precede il contenuto. Per la modernità filosofica e teologica è il metodo – la prassi – a limitare il contenuto e non il contrario.
Vediamo ora la seconda considerazione sulla nuova sinodalità come prassi. Se osserviamo l’andamento dei recenti sinodi e, soprattutto, di quello sulla famiglia, dobbiamo prendere atto che i suoi effetti hanno soprattutto riguardato la prassi. Strettamente parlando, Amoris laetitia, non ha stabilito: ha alluso, non ha escluso, ma non ha stabilito. Il cambiamento della dottrina tramite la nuova sinodalità non è affidato alla dottrina, ma alla prassi.
A decidere è la prassi, quello che si fa. I vescovi della regione di Buenos Aires hanno fatto, e questo ha veramente contato, nel senso di stabilire cosa si deve fare. Quello che si fa coincide con quello che si deve fare, storicisticamente (e prassisticamente) l’essere e il dover essere sono la stessa cosa. Come non vedere in tutto ciò l’influenza dei filoni più classici del modernismo filosofico e teologico che la nuova nozione di sinodalità recepisce con grande fedeltà? Veramente la nuova sinodalità “viene da molto lontano”.
La nuova sinodalità come “procedura”
Le categorie di “tempo” e di “prassi” immergono la nuova sinodalità nella storia. Diventa quindi obbligato assumere dalla storia e dal tempo presente alcune forme di prassi mondana.
Se si tratta di tempo e di prassi, la Chiesa non può dimenticare di vivere in un certo tempo e di dover imparare da quel tempo forme di prassi ritenute utili anche per sé. Alcune forme di queste prassi finalizzate a prendere decisioni rimandano al metodo democratico e, più precisamente, alla democrazia liberale procedurale.
La letteratura sulla nuova sinodalità insiste molto nel sostenere che il modo di procedere della sinodalità non può venire equiparato a quello di un’assemblea parlamentare. Però, qualcuno – fa notare come si debba mettere in conto ”almeno qualche analogia con quelli in atto nella società civile”; “immaginare che la verifica del consesum fidelium non apra le porte a forme di democratizzazione della chiesa significa cadere in una forma di spiritualizzazione della vita ecclesiale e quindi impedire qualsiasi riforma che promuova la corresponsabilità”. Se si vorrà decidere “non si potranno mettere da parte procedure mutuabili dall’esperienza delle società democratiche”.
Se poi le decisioni dovessero ancora essere poste nelle mani del papa e dovesse essere ancora lui a decidere, allora il riformismo della nuova sinodalità verrebbe compromesso, perché si metterebbe un tappo riparatore su quanto il tempo e la prassi avranno fatto emergere nella coscienza ecclesiale.
Una significativa apertura in questo senso è già stata realizzata riguardo al sinodo sulla famiglia: nel documento finale sono stati inseriti anche posizioni rigettate a maggioranza dai sinodali e in Amoris Laetitia Francesco ha dichiarato di non voler dire altro di diverso dalle conclusioni del sinodo.
È stato anche detto che, come nel passato la Chiesa aveva assunto al proprio interno lo schema politico monarchico, nulla vieterebbe ora di assumere quello democratico, non tenendo conto che l’assunzione dello schema monarchico non era una semplice presa a prestito dalle istituzioni del tempo, ma rimandava al concetto teologico di “regalità”. Non c’è dubbio, quindi, che forme di prassi democratica di tipo mondano entreranno nelle procedure sinodali, vi entreranno obbligatoriamente data la dipendenza della procedura sinodale dalle prassi vigenti nel tempo attuale.
Sempre a questo riguardo, è di particolare interesse notare che la forma di democrazia che viene presa in esame per confrontarla con le procedure decisionali della nuova sinodalità, anche per evidenziare la reciproca irriducibilità, è solo e sempre la democrazia liberale moderna procedurale.
Il confronto non viene fatto con la democrazia secondo Leone XIII, ma con la democrazia di Locke e Rousseau. Quando si sostiene la possibilità e la necessità di adottare procedure democratiche ci si riferisce senza ombra di dubbio alla democrazia procedurale, che la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre condannato. Sarà questa e non altre forme democratiche ad entrare stabilmente nelle procedure di formazione di una opinione pubblica ecclesiale fatta coincidere con la voce dello Spirito Santo.
didascalia: Teatro Ghione, Roma, 3 ottobre 2023