Il beato don Gnocchi ricordato a Roma dal Papa

Amis, ve raccomandi la mia baracca”: questo il testamento laconico, ma gravido d’umanità che Don Carlo Gnocchi lasciò prima di morire. Il prossimo 25 Ottobre ricorrono dieci anni dalla beatificazione di questo “imprenditore della carità”, come da alcuni è stato definito. Una solenne cerimonia è prevista a Roma con Papa Francesco, giovedì 31 Ottobre; pellegrini da ogni regione d’Italia, si affiancheranno ai maggiori rappresentanti della Fondazione Don Carlo Gnocchi.

Una giornata per ricordare un uomo semplice ma tenace e prete fino in fondo, fiero del suo abito e di tutto ciò che esso significava. L’abito per Don Carlo non era un fatto esteriore; era ciò che lo rendeva visibile agli altri e rappresentava il segno di accettazione alla volontà di Dio di chi lo porta. Don Maurizio Rivolta, responsabile del Santuario Don Carlo Gnocchi a Milano, lo ricorda così: «È stato un prete straordinario. Nato a San Colombano al Lambro (Mi) nel 1902 da famiglia povera, è ordinato sacerdote nel 1925. Dopo un’esperienza tra i giovani nella parrocchia di San Pietro in Sala è assegnato all’Istituto Gonzaga di Milano come direttore spirituale. Nel 1941 parte come cappellano militare per il fronte greco e nel 42 partecipa alla campagna di Russia.

Nel Gennaio 43 vive la tragica ritirata degli alpini della Tridentina ed è tra i pochi sopravvissuti, un’esperienza che cambierà il corso della sua vita. Appena rientra in Italia partecipa alla resistenza e incomincia a dar corpo al suo sogno che aveva maturato in Russia: darsi totalmente ad un’opera di carità. Diventa direttore dell’Istituto dei Grandi Invalidi di Arosio, poi fonda la federazione Pro Infanzia Mutilata e infine nel 1952 dà inizio alla fondazione Pro Juventute, oggi conosciuta con il nome di Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus, una realtà fatta di innovazione che opera in coerenza con i valori ereditati dal suo fondatore a favore dei più svantaggiati.

Don Carlo al termine del secondo conflitto Mondiale, dal quale l’intero Paese tenta faticosamente di riemergere, intuisce prima di tutti l’emergenza costituita dagli orfani di guerra, ma sopratutto dei bambini mutilati. Questi ultimi erano un fenomeno nuovo per l’Italia. Don Carlo fu folgorato da questa situazione, capì che la risposta che lo Stato dava attraverso l’Onig (Opera Nazionale Invalidi di Guerra), che elargiva una piccola pensione, non era sufficiente. Il suo sogno andava ben oltre, aveva compreso che erano necessarie scuole, le migliori cure non solo fisiche ma anche psicologiche e, cosa più importante, l’avviamento al lavoro per questi ragazzi che voleva rendere autonomi e capaci di essere reinseriti nella società. Occorreva creare una rete di assistenza volta ad un totale recupero della persona.

Un progetto per il quale lavora senza riposo e per raggiungere tale obiettivo chiede impegno e collaborazione a tutti. Il suo appello raggiunge famiglie importanti come i Bassetti, i Falck, i Pirelli, i Meda. Per realizzare la sua opera si trasforma anche in politico». Don Rivolta racconta che riesce ad incontrare Giulio Andreotti, influente uomo politico della Democrazia cristiana all’epoca partito egemone nella società italiana. È un episodio che fa comprendere quanto fosse profondo l’impegno di Don Carlo che, accomodatosi nell’ufficio del Ministro, mette sulla sua scrivania una serie di fotografie di ragazzi mutilati e “ricordati che su questo argomento non ti darò mai pace”, gli dice precisando subito dopo che “non sono venuto a chiederti aiuto, ma a offrirti la mia collaborazione, perché voi avete un problema: i mutilatini”.

Don Carlo è un precursore dei tempi, perché assume un atteggiamento che va molto oltre l’aspetto caritatevole; è lanciato verso una modernità che oggi abbiamo ereditato e che ancora dà i suoi frutti. Fu anche un grande comunicatore. Per realizzare le sue opere, ormai sparse in tutta l’Italia, organizzò una manifestazione conosciuta come “L’Angelo dei bambini”.

Si inventò la realizzazione di grandi manifestazioni pubbliche capaci di catturare l’attenzione della gente e coinvolgerla in atti di solidarietà concreta. L’utilizzo dei mass media e dell’informazione giornalistica per Don Gnocchi non fu solo un mezzo per raccogliere fondi, ma per informare gli italiani sulla tragedia che si svolgeva sotto i loro occhi.

Morì a 54 anni, il 28 Febbraio 1956 alla clinica Columbus di Milano. Nel momento del trapasso era presente il suo amico, Don Giovanni Barbareschi che in seguito raccontò: “Era sotto la tenda a ossigeno; alla mattina alle sei chiese il crocefisso che sua mamma gli aveva donato per la prima Messa e volle che fosse appeso sulla tenda a ossigeno per vederlo sempre. Lo appesero con dello scotch. Le ultime parole che pronunciò furono “Grazie di tutto”. Il sogno di Don Carlo fu anche quello di donare le proprie cornee, un desiderio che condivise con Don Barbareschi, un atto allora non previsto dall’etica cattolica.

Don Carlo pensava ad un ragazzo dodicenne ospite ad Inverigo che in quel momento viveva a Roma, Silvio Colagrande, vittima di un incidente con la calce durante i lavori della costruzione della sua casa in Abruzzo. Fu l’amico prof. Galeazzi dell’istituto oftalmico di Milano, che eseguì l’intervento. Fu chiamato alla clinica Columbus il 27 Febbraio e don Carlo gli disse: “Cesare ti chiedo un grande favore non negarmelo. Fra poche ore non ci sarò più. Prendi i miei occhi e ridona la vista ad uno dei miei ragazzi, ne sarei tanto felice e forse questo potrà aiutare la mia opera che ne ha tanto bisogno”. Fu la prima donazione di cornee, donazione che inaugurerà in Italia il trapianto di organi.

I funerali di Don Gnocchi si svolgono il 1° Marzo e furono celebrati in Duomo dall’arcivescovo Montini, suo grande amico, che in futuro diverrà Papa Paolo VI.

In quell’occasione l’Arcivescovo decise di dare la parola per l’ultimo saluto ad uno dei tanti “mutilatini” di cui Don Carlo si prese cura. Il fanciullo pronunciò poche parole “Prima ti dicevo ciao Don Carlo adesso ti dico ciao San Carlo”. Fu un momento di grande partecipazione, migliaia di persone si riversarono per le vie di Milano, presenti non solo autorità, i suoi Alpini, i ragazzi dei Collegi. Le sue gesta lo consacrano per sempre padre dei mutilatini e precursore della riabilitazione moderna non solo nel nostro Paese, ma anche all’estero.

Don Carlo, fu un sacerdote che non affrontò solo l’emergenza mutilati ma anche quella della poliomelite. La Fondazione che oggi porta il suo nome conta venti centri specializzati per la riabilitazione polifunzionale per anziani e non autosufficienti, per malati oncologici in fase terminale, un totale di 2.766 posti letto di degenza piena e di day hospital. È una delle più grandi strutture a livello mondiale protagonista assoluta sul fronte della cura e sofferenze più acute.

Don Carlo Gnocchi un prete dalla profonda vocazione, un grande educatore e comunicatore, con la sua tenacia creò non istituti ma collegi dentro i quali insegnò ai suoi mutilatini ad avere dignità sottolineando quello che avevano e non quello che gli mancava.

Un sacerdote innamorato della vita, il racconto della sua esistenza è un inno alla santità. Una vita fatta di mille piccole azioni quotidiane che affascinano ancora oggi non solo i credenti ma ogni persona. Una vita dedicata agli ultimi.

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