La Chiesa di San Giuseppe di Varese rappresenta un autentico tesoro di architettura e devozione, incastonata tra i palazzi e la piazza Monte Grappa, nascosta agli occhi dei passanti. Eppure, la sua presenza si fa sentire con forza durante la celebrazione della festa di San Giuseppe, quando la strada che porta alla chiesa si anima di vita. Dietro le quinte delle celebrazioni, un gruppo di instancabili volontari della parrocchia di San Vittore lavora con passione per preservare le tradizioni più autentiche della città giardino.
Angelo Antonetti, Carlo Bosoni, Luigi Bosoni, Massimo Brusa, Giuseppe Caffarelli, Guido Castelli, Marcello Chini, Gianluigi D’Agostino, Ninì della Misericordia, Sergio Ermolli, Elena Ermolli, Franca Garnili, Gianfranco Gerosa, Marinella Gerosa, Alessandro Lopa, Santa Lo Re, Ottavio Lonati, Marina Mazzoli, Michela Poerio, Nando Spandri, Valentina Vannetti, Francesco Zanin: questi i nomi, dei custodi di un patrimonio immateriale, si dedicano con amore alla vendita di dolci tipici e all’allestimento di bancarelle e di un piccolo candeliere votivo, offrendo ai fedeli l’opportunità di immergersi in un luogo intriso di fede, tradizione e cultura.
Grazie al loro impegno, varesini e turisti possono scoprire angoli preziosi e ricchi di storia, assaporando l’anima più autentica della città. Tuttavia, il tempo trascorre e l’età dei volontari cresce, mentre la passione per il volontariato tra i giovani sembra affievolirsi. Che futuro ci aspetta? E’ forse giunto il momento di raccogliere il testimone? Per infondere nuova energia nelle tradizioni che da secoli caratterizzano la nostra comunità? La Chiesa di San Giuseppe, con la sua bellezza e il suo significato, merita di continuare a vivere con la stessa intensità di sempre, ma per farlo è necessario che le nuove generazioni si facciano carico di questo impegno.
In questo fine settimana, i volontari della parrocchia di San Vittore e della festa di San Giuseppe sono di nuovo al lavoro, vendendo dolci tipici e preparando bancarelle con dolciumi e candelieri votivi dove i fedeli possono accendere una candela e lasciare un’offerta, avvicinandosi così a un luogo che è un vero luogo di fede. Tra i volontari, la professoressa Elena Ermolli, con la sua disponibilità e professionalità, offre nelle giornate di sabato e domenica una narrazione affascinante della storia della chiesa. Questa, originariamente un oratorio della Confraternita della Beata Concezione e del Gonfalone, situato nella piazzetta della contrada Pozzovaghetto, è diventata, nel tempo, un luogo di culto che raccoglie opere di numerosi artisti, come Giovanni Speroni, Giovan Battista del Sole, Bernardino Castelli e Giovan Battista Ronchelli.
Entrando nella chiesa, il visitatore si trova immerso in una serie di dipinti che raccontano, con grande semplicità, storie sacre, come quella di Adamo ed Eva. Le statue dei santi Tommaso, Andrea, Giobbe non sono imponenti, ma emanano una sensazione di vitalità, come se volessero interagire con chi le osserva. Alzando lo sguardo, si possono ammirare ben 62 angioletti musici, che sembrano trasportare lo spirito del visitatore verso l’alto, in un’armonia che conduce alla preghiera.
Di fronte all’altare, spicca la statua della Vergine dell’Apocalisse, che schiaccia con il piede il male, rappresentato in modo crudo e simbolico. Dietro l’altare si trova il coro, un luogo un tempo riservato alla confraternita, dove i dipinti sui muri raccontano la vita di Maria: il sogno di Giuseppe, la fuga in Egitto, il matrimonio tra Giuseppe e Maria. Nei dipinti, Maria è spesso rappresentata con abiti rossi e blu, i colori del gonfalone della confraternita, mentre il matrimonio tra Maria e Giuseppe è raffigurato con colori puri come il bianco e l’azzurro, simbolo di purezza.
Un aspetto particolarmente significativo, come sottolineato dalla prof.ssa Ermoli, è l’assenza dell’aureola nei dipinti. Questo dettaglio suggerisce che la Sacra Famiglia non fosse percepita come un’entità divina distante, ma come un nucleo familiare simile ai devoti che frequentavano la Chiesa di San Giuseppe. La figura di San Giuseppe, in particolare, appare come quella di un uomo comune, ma capace di grande amore e protezione. Un elemento che ben sintetizza il messaggio di questa chiesa è il dipinto di Giuseppe che tiene fra le braccia il piccolo Gesù, simbolo di custodia e protezione, valori centrali in questa festività.
La festa di San Giuseppe che si svolge intorno alla chiesa è ricca di momenti significativi, come il corteo in costume che parte dalla chiesa di San Giuseppe per terminare in piazza San Vittore, a cura del gruppo teatrale di via Frasconi e del gruppo teatro UNI3. Un altro momento che caratterizza la festa di San Giuseppe è il dibattito, che si svolgerà domenica 23 Marzo alle ore 11.00, dal titolo “Chi ti ha convinto e perché mai” con Giuseppe Caffarelli e Mons. Gabriele Gioia, che offre una prospettiva intima sulla figura di San Giuseppe, esplorando la sua umanità e le sue emozioni di fronte a un ruolo straordinario. La canzone “Giuseppe” di Georges Moustaki (Alessandria d’Egitto, 3 Maggio 1934 – Nizza, 23 Maggio 2013) , la canzone scelta da Giuseppe Caffarelli per l’incontro con il Prevosto, ci invita a considerare il Santo non solo come una figura religiosa, ma anche come un uomo con emozioni, dubbi e paure. Moustaki esplora l’amore profondo e incondizionato di Giuseppe, ma anche le difficoltà e le rinunce della sua paternità putativa.
Questo incontro ci spinge a riflettere sulla figura di San Giuseppe come uomo capace di coraggio, di scegliere l’amore, di proteggere la sua famiglia nonostante le incertezze. Così, entrando nella Chiesa di San Giuseppe e avvicinandosi al dipinto che lo raffigura, ogni fedele può sentirsi un po’ come quel bambino, Gesù, custodito e amato dalla fede, dalla speranza e dalla tradizione.
La Chiesa di San Giuseppe è un luogo che celebra la bellezza della vita, della famiglia e della devozione. Ma cosa resta di tutto questo se non ci impegnamo a custodirlo, a trasmetterlo, a fare in modo che il suo spirito continui a vivere anche nei giorni a venire? Non è forse il momento di chiederci, ognuno di noi, cosa possiamo fare per mantenere viva questa tradizione?















