Tito? Un nome doloroso ancora per molti esuli

La lettera aperta di un lettore di Vareseinluce offre una riflessione intensa e profonda sulla città di Gorizia, toccando corde emotive nei suoi abitanti. L’autore si sofferma sulla montagna con la scritta “TITO”, un simbolo che evoca ricordi dolorosi di un passato complesso e turbolento. Attraverso le sue parole, emerge un invito a riflettere sulla memoria storica e sull’identità collettiva, incitando la comunità a un dialogo aperto e sincero. La lettera diventa così un ponte tra le generazioni, stimolando una riscoperta del valore del confronto e della comprensione reciproca, in un contesto che cerca di guardare al futuro senza dimenticare il passato.

“Sabato 8 febbraio a Gorizia (la città dove sono nato 69 anni fa) si svolgerà la cerimonia di apertura di Nova Gorica Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025 alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Le campane di tutte le chiese suoneranno contemporaneamente per l’inaugurazione. Sarà una grande occasione per la mia città e per cercare di superare alcuni ostacoli che ancora si frappongono a un’autentica pacificazione tra italiani e sloveni.

Gorizia è stata una città martire, oggetto di violenze e deportazioni da parte dei titini durante i 40 giorni di occupazione della città, sorte che toccò anche a Trieste. Mentre in tutta Italia si festeggiava la fine della guerra, per noi iniziava una fase molto dolorosa che terminò appena il 12 giugno 1945, quando il generale Alexander, resosi conto della tragedia in corso, intimò a Tito di ritirarsi con le sue truppe al di là della cosiddetta linea Morgan.

In quei 40 giorni circa 1.200 goriziani furono prelevati di notte dalle loro case e sparirono nel nulla: molti gettati nelle foibe, altri rinchiusi in campi di concentramento dove furono sottoposti a torture e sevizie di ogni tipo e morirono di stenti o di fame, i più fortunati fucilati. La loro colpa essere prima di tutto italiani e poi di far parte di quella categoria di persone (dottori, farmacisti, direttori scolastici, ingegneri, dipendenti comunali, dipendenti statali, etc.) che un giorno avrebbero potuto essere la classe dirigente della città, per cui andavano eliminati: erano il principale ostacolo al disegno espansionistico di Tito. Io ho denominato questa pulizia etnica genocidio selettivo: l’odio dei titini nei nostri confronti era etnico, sociale, politico e culturale.

Gorizia rimase italiana grazie a mio padre Sergio, al tempo ufficiale di Marina (reparto Comsubin), che diede vita (e fu poi presidente), insieme ad altri goriziani, al movimento Associazione Giovanile Italiana (A.G.I.) che manifestò apertamente e senza timori la volontà della maggioranza dei cittadini di rimanere italiani. Il 26 e 27 marzo del 1946 oltre 30.000 goriziani (su poco più di 40.000 abitanti) scesero in piazza sfidando le ire titine e stupendo gli alleati che si bevevano le dichiarazioni di Tito che Gorizia e Trieste erano a maggioranza slava.

Gorizia si meritò la Medaglia d’Oro al Valor Militare appuntata sul gonfalone della città dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi il 6 giugno 1949.

Penso che a buon diritto Gorizia si possa definire una città martire. La pacificazione è una via obbligata dopo 80 anni dai fatti, ma nutro forti dubbi sulla volontà slovena di dare seguito alla sbandierata volontà di superare quel tragico periodo. Mi riferisco alla scritta TITO (di cui allego foto), composta da grandi massi sulla parte slovena del Monte Sabotino, che ricorda ogni giorno ai goriziani chi fu il responsabile di quella grande tragedia. Quando le Autorità saranno sul piazzale della Transalpina, dove una volta una rete divideva il mondo occidentale da quello comunista, davanti alla stazione nord di Gorizia, dovrebbero alzare lo sguardo e vedere la scritta TITO in tutta la sua tragica realtà.

Quella scritta, recentemente sottoposta a maquillage per Go!2025, è un pugno nello stomaco per noi goriziani. È come se, per paradosso, davanti alle Fosse Ardeatine o a Sant’Anna di Stazzema ci fosse un colle con un’enorme scritta HITLER oppure con una svastica. In Italia, nel giro di due ore quella scritta sarebbe stata eliminata. Invece le Autorità slovene si trincerano dietro alla scusa che quelle pietre sono collocate su un terreno privato e loro non possono rimuoverle.

I goriziani sono gente pacifica e non vogliono contribuire a rompere quel magico desiderio di vivere finalmente una pace reale con chi vive al di là del confine. Ma per quanto tempo ancora saranno costretti a girare la testa dall’altra parte?” (Marco Fornasir – Sesto Calende)

didascalia: immagine lapide Basovizza

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