Maxi-sequestro da 300.000 euro: beni confiscati a trafficanti di droga

Il 20 marzo 2025, la Polizia di Stato di Varese, tramite gli investigatori della Divisione Anticrimine, ha dato esecuzione a un decreto di sequestro emesso dal Tribunale di Milano – Sezione Autonoma Misure di Prevenzione. Il provvedimento è stato richiesto congiuntamente dal Questore Carlo Mazza e dal Procuratore della Repubblica di Varese, nei confronti di un cittadino albanese, residente regolarmente nell’area metropolitana del capoluogo, accusato di essere coinvolto in un’attività consolidata di spaccio di sostanze stupefacenti.

L’uomo, già gravato da numerose condanne per reati legati allo spaccio di stupefacenti, è stato arrestato il 12 giugno 2024 dalla Squadra Mobile, a seguito di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dall’Autorità Giudiziaria di Varese. Considerato un esperto nello smercio di cocaina e hashish, era il capo indiscusso di un’organizzazione criminale che alimentava il mercato della provincia di Varese, estendendo la sua rete anche ad altre zone della Lombardia e fino all’Emilia. Conosciuto con il soprannome di “Grande Capo”, si vantava di gestire una struttura composta da ben 67 affiliati.

Le indagini hanno fatto emergere un’autentica attività imprenditoriale con struttura piramidale e con un modus operandi ben definitoIl cittadino albanese si occupava di far entrare in Italia giovani connazionali che giungevano regolarmente per motivi turistici, potendo soggiornare fino a 90 giorni ogni 180 giorni nel territorio Schengen in regime di esenzione di visto.  

I giovani selezionati venivano assunti regolarmente e forniti di alloggio, automobili intestate a prestanome, droga e telefoni cellulari. Successivamente, venivano impiegati nell’attività di spaccio. Per eludere le intercettazioni delle forze dell’ordine, l’organizzazione aveva creato una “sala operativa” all’interno di un appartamento. Qui, uno dei giovani, senza mai uscire, gestiva tutte le richieste di droga provenienti dai clienti tramite WhatsApp, inoltrando poi gli ordini con gli indirizzi ai pusher su strada attraverso piattaforme social più difficili da tracciare.

Inoltre, veniva utilizzato un capannone in affitto per il deposito delle numerose auto impiegate dai corrieri, insieme a droga e armi. L’uomo, formalmente nullatenente, risultava vivere con la sua famiglia in un’abitazione intestata al fratello, che era diventato il suo principale collaboratore.

Grazie all’analisi dei flussi finanziari, è emerso che vari membri della famiglia beneficiavano degli indebiti guadagni provento di spaccio, fungendo da prestanome per le intestazioni di immobili. L’illecita attività era schermata da un’attività commerciale, una pizzeria d’asporto gestita dal fratello, che forniva legali entrate, seppur esigue, anche al capo dell’organizzazione e alla madre.

È emerso che sui conti intestati ai prestanome venivano registrati flussi di denaro sospetti, in particolare poco prima dell’acquisizione di beni immobili o mobili registrati. Tali somme, provenienti in contanti o tramite bonifici da familiari o terzi e prive di una giustificazione plausibile, venivano poi utilizzate per perfezionare le compravendite.

Considerando il positivo andamento degli affari, era stato recentemente acquistato un capannone intestato ai genitori, destinato a supportare logisticamente l’attività illegale dei figli, uno spazio adatto alla gestione e al deposito dei beni del gruppo.

Nel conteggio dei beni sequestrati, oltre al capannone menzionato, risultano anche 2 unità immobiliari aggiuntive, 4 conti bancari o finanziari e 1 autovettura. L’intero patrimonio, in attesa di una valutazione definitiva da parte dell’amministratore giudiziario, è attualmente stimato in oltre 300.000 euro.

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