Il generale Nicolò Manca, già comandante delle brigate Sassari, ci ha mandato questa lettera che volentieri pubblichiamo perché aiuta a riflettere su un tema rilevante: il rispetto e la riconoscenza che devono essere riconosciuti a coloro che quotidianamente operano per garantire la nostra sicurezza. Urge una chiara normativa che tuteli coloro che, per onorare la divisa che indossano, arrivano a dare la vita.
Speravo di cogliere un segnale forte nei notiziari e nei quotidiani che hanno dedicato spazio ai funerali del brigadiere scelto Carlo Legrottaglie, ma se questo segnale c’è stato… mi è sfuggito.
Ho letto solo di “pianti ed alti lai” da parte dell’universo mondo presente ai funerali, dal PDR fino ai rappresentanti del mondo politico, dell’informazione e, perchè no, della Chiesa.
Penso però che “coloro che possono” non dovrebbero limitarsi a sciorinare scontate litanie di partecipazione al dolore dei familiari ma dovrebbero anche sentire l’esigenza ed il dovere di lanciare un segnale forte teso a contenere questo genere di delitti.
Se avessi un terzo dei miei anni e mi calassi nei panni di un immaginario figlio di Legrottaglie o se fossi un suo coetaneo e fossi il suo gemello (come le sue due gemelle Carla e Paola rimaste orfane proprio quando, dopo aver subito per quindici anni il mantra “il servizio prima di tutto”, si accingevano ad avere un padre tutto per loro a tempo pieno) chiederei a tutte le personalità che si sono profuse in scontate formule di circostanza un segnale forte che potrebbe concretizzarsi in una legge di un unico articolo con oggetto “IL POSTO DI BLOCCO”
A premessa della formulazione di questo “suggerimento di legge” può essre utile una riflessione: chi forza un postodi blocco di norma è un delinquente che si è già macchiato di reati di cui, se catturato, dovrà rispondere in solido e con anni di galera. Ma potrebbe essere anche un cittadino incensurato che ha festeggiato una ricorrenza con amici alzando troppo il gomito e, conseguentemente, teme una multa salata e il fermo della sua macchina.
Ogni possibile circostanza causale implica comunque il rischio che il “fuggitivo” provochi altri danni e causi incidenti, talvolta mortali, che spesso coinvolgono gli stessi tutori dell’ordine impegnati in un eventuale inseguimento. Può accadere, e spesso accade, che sia lo stesso delinquente, aspirante o in servizio permanente che sia, a perdere la vita. In sintesi: ove il posto di blocco venga forzato bisogna mettere in preventivo che venga infranto il principio della “sacralità della vita umana”, sia quella di un innocente onesto o di un colpevole disonesto.
Come cercare di contrastare questa tragica eventualità? Lanciando un messaggio dissuasivo forte e chiaro ai potenziali “forzatori” dei posti di blocco.
Ed ecco la formula suggerita per la legge sopra auspicata: “ Il tutore dell’ordine che opera in un posto di blocco, in caso di evidente forzamento dello stesso ha il dovere e l’obbligo, ove nel contesto circostante sussistano ragionevoli condizioni di sicurezza, di impiegare l’arma in dotazione per bloccare il veicolo in fuga”.
Saranno poi norme di dettaglio a precisare che si dovrà indirizzare il tiro verso le ruote del mezzo, fermo restando che un colpo di rimbalzo potrà colpirne gli occupanti, possibilità da mettere comunque in conto.
Quale lo stato dell’arte nell’Italia attuale? I tutori dell’ordine sono consapevoli del fatto che se mettono mano all’arma in dotazione finiscono sotto processo, come i due poliziotti che, sulle tracce degli assassini di Legrottaglie, hanno finito per intercettarli e ucciderne uno.
Coseguenza: carriera bloccata ipso facto per i due agenti indagati con regolare avviso di garanzia democraticamente emesso dalla magistratura quale atto dovuto perchè previsto dalla legge! Ovviamente i due inquisiti dovranno assoldare un avvocato che in sede processuale accerti se e come chi è incolpato della morte del criminale assassino prima di far fuoco abbia o no intimato per tre volte il rituale “altolà chi va là, fermo o sparo”, il tutto sollevando in alto la mano destra in un gesto che possibimente non evochi tuttavia il saluto fascista, circostanza suscettibile di ulteriore denuncia o quanto meno costituire aggravante.
Mi avvalgo della facoltà di non commentare questa legge, i suoi promotori nonché la magistratura che la applica (è noto che in Italia le leggi più inflessibili trattano del vilipendio delle istituzioni). Va da sé che per i due indagati è scattato il “blocco della carriera fino alla conclusione dell’iter processuale”, mentre per Carlo Legrottaglie sarà determinato “il blocco della pensione per sopraggiunto dececesso del pensionando”
Cosa cambierà ora in Italia? Nulla, assolutamente nulla. Altri innocenti continueranno a morire, perchè il delinquente forzatore potenziale del posto di blocco continuerà a pensare “se mi inseguono e li semino la sfango anche stavolta…e se pure mi acchiappano il processo è il male minore. In fondo se non pochi pregiudicati reduci da carceri africane anelano a venire in Italia un motivo ci sarà”. In alternativa lo stesso soggetto potrebbe valutare che “…è meglio che mi fermo…perchè questi sparano!”.
Nel contempo nell’ambito dell’Arma continuerà a valere il motto “usi ad obbedir tacendo e tacendo morir”, anche se quel “tacendo” costerà la vita di altri Carlo Legrottaglie e forse creerà qualche rimorso ai molti “che possono” ma preferiscono, per l’appunto, tacere e adeguarsi alla composta “partecipazione al dolore dei familiari” del numero uno della magistratura e delle forze armate.
Resta in sospeso che un domani qualcuno a Ostuni spieghi ai figli di Carla e di Paola perchè potranno vedere nonno Carlo solo in una foto del cimitero del paese, mentre nell’aldilà Qualcuno dovrà spiegare a Carlo Legrottaglie perchè è stato privato di una delle più belle parentesi della vita, forse la più bella, e non potrà sentire un nipotino o una nipotina che salutano con un “ciao nonno Carlo”.
didascalia: immagine di repertorio