Ansia, depressione, paura e suicidi sono le conseguenze più gravi che i medici e infermieri riportano dopo aver subito violenza nell’esercizio della loro professione. Una realtà sempre più allarmante, che travolge in particolare le donne e che oggi si traduce anche nella crescente desertificazione dei concorsi per lavorare nei Pronto Soccorsi.
Se nè parlato questa mattina, giovedì 16 Ottobre, durante il convegno “La violenza verso gli operatori in ambito sanitario: una rete territoriale per la prevenzione”, tenutosi presso l’Aula Magna dell’Università dell’Insubria a Varese. Un evento che ha visto la partecipazione di numerose figure istituzionali e professionali, a conferma della gravità e attualità del fenomeno.
A intervenire, tra gli altri, il direttore generale dell’Ats Insubria, dottor Salvatore Gioia, il presidente dell’Ordine dei Medici di Como, dottor Gianluigi Spata, il presidente delle Professioni Infermieristiche , Salvatore Santo e Massimo Bianchi in rappresentanza del Presidente dell’Ordine dei Medici di Varese.
Presenti anche il Questore di Varese, Carlo Ambrogio Mazza, e il Prefetto, dottor Salvatore Pasquariello. I lavoro sono stati moderati da Cristina Curioni, responsabile scientifico e della qualità Risk Management di Ats Insubria.
Dagli interventi è emersa con forza una realtà complessa e drammatica: gli operatori sanitari sono sempre più spesso bersaglio di aggressioni, sia verbali che fisiche, da parte di pazienti o loro familiari. Le donne, in particolare, subiscono un doppio carico: la violenza sul luogo di lavoro e la pressione della vita familiare, che spesso include la cura di figli e anziani.
Massimo Bianchi ha ricordato come gli ordini professionali abbiano il dovere di tutelare la dignità e l’integrità deontologica degli iscritti, incoraggiando la foramzione e il ricorso alle Forze dell’Ordine. Salvatore Santo, ha sottolineato l’importanza della prevenzione in un contesto già segnato dalla carenza di personale e da condizioni precarie di lavoro. Gianluigi Spata, riportando i dati di un’indagine europea, ha evidenziato come il 24 per cento dei medici soffra di ansia e il 32 per cento di depressione, spesso causate da episodi di violenza fisica o sessuale. La perdita di serenità incide direttamente sulla qualità delle cure e sull’accuratezza professionale, soprattutto nei giovani medici, spesso spaesati di fronte ad un carico di lavoro elevato.
Anche il Questore di Varese, Ambrogio Mazza, ha sottolineato il ruolo della sicurezza: “la violenza contro gli operatori sanitari impedisce loro di svolgere al meglio il proprio lavoro”, ha detto, annunciando l’innalzamento dei livelli di sicurezza nei presidi ospedalieri della provincia. Interventi confermati dal Capo di Gabinetto della Questura, Francesco Pino, che ha illustrato l’installazione di presidi di Polizia negli ospedalei e l’estensione di sistemi di videosorveglianza, già attivi in diverse strutture come Varese, Busto Arsizio e Saronno.
Il Prefetto di Varese, dottor Salvatore Pasquariello, ha posto l’accento sulla necessità di educare i giovani al rispetto delle istituzioni, ricordando il valore del progetto “On the road di Varese”, ora divenuto nazionale. La violenza, ha affermato, è un indicatore di disagio sociale sempre più trasversale, che si manifesta anche in scuole, uffici pubblici, trasporrti e persino nei rapporti di vicinato.
Dati allarmanti sono stati presentati da Davide Archi, direttore del Dipartimemnto Controlli, nel 2024 sono stati raccolti 1183 questionari da 189 enti dell’Insubria, dai quali risultano 10051 aggressioni. I luoghi più colpiti sono le aree di degenza, il pronto soccorso e le strutture psichiatriche, sia pubbliche che private. Le vittime principali: infermieri, operatori socio sanitari seguiti da quella fisica in prevalenza di donne tra i soggetti colpiti.
Paola Colombo, coordinatrice per il rischio clinico, ha ribadito che le aggressioni sono in aumento a livello nazionale, e che spesso gli episodi restano sommersi, non segnalati. Una sottostima che rende difficile anche la costrusione di risposte efficaci. Le forme di violenza vanno da quella verbale a quella emotiva, fisica e sessuale, e coinvolgono anche operatori tra loro.
Infine, Mristella Moscheni, referente per la qualità e il rischio in Asst Sette Laghi, ha illustrato l’importanza della rete territoriale costruita con le Asst Lariana e valle Olona, per condividere strategie di prevenzione e intervento. Nel pomeriggio il convegno proseguirà con tesitimonianze di operatori AREU E 112.
La violenza verso medici, infermieri e personale sanitario non è un fatto privato è un’emergenza sociale. Colpire chi cura significa colpire il cuore del sistema sanitario e mirare uno dei pilastri del vivere civile. Gli interventi istituzionali, le reti territoriali, le formazioni e i presidi di sicurezza sono strumenti impoartanti, ma non sufficienti da soli.
Serve una trasformazione culturale profonda, che parte dalle scuole, università, coinvolga le famiglie, la politica. Occorre restituire dignità al lavoro di cura, educare al rispetto, e riconoscere negli operatori sanitari non solo dei professionisti, ma persone che ogni giorno mettono la propria vita al servizio degli altri.
Solo quando la comunità si farà carico di questa responsabilità, si potrà davvero iniziare un vero percorso di prevenzione e restituire ai luoghi di cura il loro significato originario essere un rifugio per chi soffre e non un campo di battaglia.
