La sezione “MAVM F. Meregalia” di Tradate dell’Associazione nazionale bersaglieri, presieduta dal bersagliere Daniele Bai, sabato 30 Novembre, ricorda con una cerimonia i caduti delle battaglie di Natale sul fronte russo.
Alle ore 18, dopo una santa Messa nella chiesa prepositurale di Santo Stefano in Tradate, i partecipanti si recheranno in ordine sparso presso il cippo del 3° Reggimento bersaglieri per rendere gli onori ai caduti.
Le battaglie di Natale ebbero luogo, la prima, a Petropavlivka, dal 25 al 28 Dicembre 1941 e la seconda, ad Arbuzovkadal, dal 16 al 28 Dicembre del 1942. In entrambe si distinse per audacia e spirito combattivo il 3° Reggimento bersaglieri (oggi di stanza a Teulada in Sardegna), l’unità più decorata dell’Esercito Italiano che, non a caso, ha per motto:«Maiora viribus audere» (Osare più delle proprie forze). In entrambe le battaglie a prevalere furono i soldati italiani.
Lo scontro più lungo e cruento fu quello del Dicembre 1942 quando i russi attraversarono il fiume Don gelato e sfondarono le linee nemiche accerchiando l’esercito italiano. L’avventura degli italiani terminò con la “battaglia di Natale” (iniziata alle 8 del 16 dicembre 1942) che vide fronteggiarsi circa 3 milioni di tedeschi e 5 milioni di russi.
La battaglia si svolse in maniera estremamente complessa e nel corso delle operazioni gli italiani si trovarono sovente accerchiati dalle truppe russe. Inizialmente gli italiani riuscirono a resistere e a respingere l’offensiva sovietica, contando 168 morti, 715 feriti, 207 dispersi e 350 soldati congelati. I soldati italiani furono duramente provati da un inverno in cui le temperature raggiunsero -40°, per cui i morti per assideramento furono molti più di quelli caduti in battaglia. Il gelo inceppava le armi e bloccava i motori ed i soldati che inavvertitamente impugnavano le armi a mani nude vi lasciavano la pelle attaccata. Mentre i soldati dell’Armata Rossa erano protetti da tute speciali, molti soldati italiani (per lo più appiedati) riuscirono a salvarsi gettando via i propri scarponi e infilando i piedi in fagotti di stracci o avvolgendoli con pelli di pecora.
I Sovietici avevano ammassato sul fronte delle nostre divisioni (la “Pasubio”, la “Torino” e la “Celere”, ben cinque divisioni, su tre reggimenti ciascuna. L’attacco fu sferrato all’alba del giorno di Natale, con la convinzione di sfruttare l’effetto sorpresa del giorno festivo. Ma la ricognizione aerea tedesca ed il pattugliamento italiano avevano rilevato importanti movimenti di truppe che non potevano essere se non i segni premonitori di un’offensiva.
Così, nella notte della vigilia gli Italiani avevano vegliato in armi e quando i Russi attaccarono, concentrando il loro sforzo nel settore della “Celere”, ebbero una degna accoglienza. Malgrado la loro superiorità numerica dovettero arrestarsi per ore ed ore dinnanzi alle posizioni di prima linea tenacemente difese, soprattutto dai bersaglieri del 3° Reggimento, che costituisce l’ala destra della “Celere”.
E quando alcuni nostri presidi, per sfuggire all’accerchiamento o per aver esaurito le munizioni, ripiegarono su posizioni più arretrate, i nostri comandi avevano potuto provvedere alle necessarie contromisure. La sera del 25 dicembre, infatti, gli italiani erano già al contrattacco, prima ancora che giungessero i rinforzi di carri armati tedeschi. Il giorno successivo solo tre capisaldi delle nostre linee erano ancora occupate dai sovietici.
Il 28 dicembre, una massiccia controffensiva li ricacciava definitivamente da tutte le posizioni conquistate. La battaglia di Natale era vinta. I sovietici malgrado la loro superiorità, malgrado la loro conoscenza del terreno, malgrado la loro confidenza al clima micidiale dell’inverno russo, non erano riusciti a passare.